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Breithorn Centrale e Occidentale, 2015

Nota. Questa pagina dispone di un tracciato GPS scaricabile nell'apposita sezione.

 

Non è semplice raccogliere pensieri, momenti, ricordi nel classico “giorno dopo”, quando il “giorno prima” si è rivelato così inaspettatamente ricco, intenso, impegnativo e soprattutto emozionante.

Sabato 2 maggio 2015, il culmine di qualcosa, per molte persone. Per tutti gli atleti e gli organizzatori del Trofeo Mezzalama, impegnati nella sua storica ventesima edizione, a correrla e a renderla sicura; per me e i miei amici, impegnati a ritagliarci “almeno un Quattromila” dopo ben quattro settimane di continui rinvii. Uno stillicidio iniziato ogni lunedì, esteso per centinaia di diversi bollettini meteo, di contatti e disdette a malincuore; e infine, alla vigilia del ponte del Primo Maggio, con ben tre giorni a disposizione, l’ansia portata dall’ennesimo fine settimana di meteo avverso.

E’ davvero difficile raccogliere tutto questo in modo coerente, se non per immagini, momenti, impressioni in grado di spiccare nel fluire di una giornata fuori dall’ordinario. E se le prime sessantacinque fotografie, pubblicate nell’account Facebook di Varasc.it, hanno contribuito… Una storia va raccontata in più modi per poter affermare di averla “salvata”, preservata, nel tempo.

 

Sabato 2 maggio, Biella, ore 02.50. Piove. Dieci minuti alla sveglia, anzi, alle tre sveglie che dovrebbero vegliare sul mio sonno, se stessi dormendo: una principale, una di backup, una perché sono un biellese paranoico e non si sa mai. Non ho dormito bene. Le immagini dei cinquecento devastatori a Milano, proprio nei luoghi che conosco così bene, lavorando in Corso Magenta ormai dal 2008: Piazza Virgilio, il Bar Magenta, perfino la mia banca in Cadorna dove ho prelevato giovedì. Meglio non esprimere per iscritto cosa penso, cosa sento: ma come diceva sempre la mia compianta nonna Luisa, Povera Milano. E tornando alla montagna, l’incognita è di quelle da lasciar poco spazio al sonno.

Inseguo da ore una ridda convulsa di consulti meteorologici, l’ultimo rilasciato appositamente dalla Società Meteorologica Italiana: coperto/nebbioso fino alle h 02, parziali schiarite tra le h 02 e le h 05, specie nelle vallate, ma ancora estesi tratti coperti/nebbiosi in cresta. Tra le h 05 e le h 08 schiarite più ampie. Peggio ancora: Fino alle h 02 piovaschi a tratti, con neve oltre i 2600 metri, specie in zona Valtournenche. E i venti: Forti tra W e NW 80-90 km/h fino alle 08, in attenuazione in seguito. Dall’account Facebook del Trofeo, riassumono così: (…) interviene il meteorologo Luca Mercalli che presenta le previsioni meteo per domani: una finestra di 10h con assenza di precipitazioni, a partire dalle h 5.00. Dopo le h 8.00 saranno possibili schiarite. Nel primo pomeriggio è previsto nuovamente un peggioramento delle condizioni meteo.

Noi non siamo in gara, ma la riuscita della nostra giornata è appesa a un filo, proprio come per gli atleti. I rifugi chiuderanno il 4, perlomeno il Gnifetti al quale avremmo prenotato proprio per questa sera, nel tentativo di salire il Breithorn il primo giorno e una o due cime del Monte Rosa l’indomani: se saltasse ancora, se ne riparlerebbe a luglio.

Sveglia alle 3.00, partenza poco prima delle 3.30 in una Biella piovigginosa e deserta. Rendez-vous da Ski Sises, dove conosco due degli amici con cui io, Rossana e Massimo divideremo la giornata: Mario e Bruno. Uneventful è il solo termine che mi sovvenga per descrivere il viaggio, peraltro abbastanza rapido: la Serra addormentata, un paio di volpi di ritorno dalla caccia notturna, l’autostrada più cara del Sistema Solare pressoché deserta, l’arrivo in quella che mi è sempre parsa più un immenso centro commerciale alpino - Cervinia - di un onesto villaggio di montagna. Le funivie apriranno alle 06.00, gratuite fino alle 08.00 proprio in occasione del Trofeo Mezzalama, e se la conca è ancora silente, le prime cabine della grande funivia sono già stipate. Scialpinisti, fotografi, semplici escursionisti: tutti a battere i piedi in attesa che da Plan Maison si possa risalire fino al Plateau Rosa, circondati da poster che ricordano debitamente a tutti noi come l’Italia sia, in fondo, land of Quattro.

Alle 7.10, finalmente, partiamo. Di solito indosso almeno l’imbrago già in funivia, per non perder tempo e per vedere meno impianti possibili; oggi, la folla a bordo era tale da non riuscire quasi a respirare, e devo sorbirmi perfino il panorama sventrato delle Cime Bianche sul lato valtorneis. Zermatt non si vede, né si scorge la sua valle, sommersa dalle nuvole: emergono solo le vette del Cervino e della Dent D’Herens, mentre centinaia e centinaia di scialpinisti aggrediscono le piste da sci del Plateau alla volta del Piccolo Cervino. Il sole è ancora lontano, il vento forte, il senso di attesa bruciante mentre si sentono solo i rumori ritmici delle pelli, dei ramponi, delle corde.

Alle 8.00 precedo i miei compagni di escursione al Klein Matterhorn, chiacchierando con un anziano scialpinista armato di una vecchia Nikon. Mi fa un po’ tenerezza e lo rivedrò più volte nel corso dell’intera giornata, salutandolo ogni volta, lui e la sua giacca rossa. Sto salendo bene, non essendo legato, mantengo un ritmo abbastanza spinto pur voltandomi ogni pochi minuti a controllare la posizione degli altri: Massimo in rosso, Rossana in viola, perché con questa folla è facile perdersi di vista e una serie di telefonate con il roaming svizzero porterebbero tutti noi sull’orlo della rovina finanziaria. Come speravo, la maggior parte della gente procede sul Breithornplateau per intercettare la traccia lungo la quale arriveranno gli atleti del Trofeo Mezzalama; molti altri puntano invece verso il candido scudo del Breithorn Occidentale, come pensavo. Per questo sin da Quincinetto avevo suggerito caldamente di salire anzitutto il Centrale, tenendo l’Occidentale come seconda scelta. Li ho già saliti più volte, come riportato in Varasc.it da anni, l'ultima volta proprio il primo gennaio 2015.

10.13, alla Sella dei Breithorn, quota 4081. Una fatica improba, fin qui: i pendii inferiori del Breithorn si sono rivelati delle trappole di neve marcia e cedevolissima, in cui io e Massimo, legati insieme, affondiamo a volte fino alla vita, fino alla caviglia, poi nuovamente fino al ginocchio. Dobbiamo darci più volte il cambio come primi di cordata, dandoci reciprocamente modo e tempo di riprendere il fiato; il vento è oltretutto fortissimo, ci farebbe cadere se non fossimo così impastoiati nella neve molle. Gli scialpinisti sono tanti, qui, ma meno numerosi di quanti salgono piegati in due dal vento verso l’Occidentale; la neve si alza in arabeschi di polvere, dando modo di intuire quando la prossima folata ti colpirà. Massimo recupera un guanto schizzato via da cinquanta metri di quota più in alto, il proprietario ha perso le pelli in una caduta causata dagli strappi d’aria, molla tutto e abbandona la salita; almeno non ha perso il suo guanto. Il mio, invece, si rompe in un movimento brusco, e il medio sinistro comincia a gelare e dolere.

E’ dura non potersene occupare, tuttavia devo reggere la picca, badare alla corda, non ho nemmeno modo di spalmarmi un po’ di crema solare e so che presto la pagherò cara. E’ difficile restare in piedi, a tratti, e il momento dopo devo salvare la Canon e il suo obiettivo dall’immersione nel pendio, quando tutto mi cede intorno e sprofondo rischiando di ramponarmi una gamba con l’altra. Ma, inaspettatamente, il cielo è blu e la neve che vola ovunque non è altro che quella portata dal vento da bufera, alzata dagli scialpinisti; il sole brilla già dietro al Castore, la cui immensa Parete Ovest mostra chiaramente la netta traccia scavata - letteralmente - dalle Guide alpine per preparare il tracciato del Trofeo Mezzalama. Uno scenario grandioso, celestiale, sembra di sentirsi pervasi in ogni istante e in ogni cellula da tanto splendore: tradotto in musica, sarebbe Finlandia di Sibelius.

La Sella è affollata, e molto. Una tribù di bergamaschi riempie l’aria di risa, bestemmie, pacche sulle spalle e cameratismo esuberante; c’è sempre qualcuno che sposta zaini e toglie pelli, pianta sci e bastoncini nella neve, scatta fotografie con l’iPhone di ordinanza. Sorseggio il mio tè bollente mentre, all’improvviso e senza alcun preavviso, un elicottero della Pellissier tenta l’atterraggio, o perlomeno si avvicina a quella che mi pare una distanza davvero troppo intima per un approccio tra sconosciuti. Specie a questa quota. Desiste e, pochi minuti più tardi, un secondo elicottero tenta la stessa manovra da nord, dal lato svizzero. Mi colpisce moltissimo, e non solo per l’immensa deflessione scaricata addosso a tutti noi dal rotore: è rosso, con una curiosa livrea a stelle bianche e rosse e appartiene all’Air Zermatt. Il suo codice identificativo è HB-ZSU, tuttavia è così vicino che, quando il pilota desiste, riesco a leggerne perfino le scritte più minute che lo adornano: Hamilton, Scarpa, Swiss.com, Victorinox. Vedo i piloti, il personale di bordo, non sembrano intenti a scarrozzare in quota danarosi adepti del maledetto fenomeno chiamato heliski. Che succede?

Ci raggiungono anche Rossana e Mario, Bruno ha preferito fermarsi prima. Una pausa per dar loro tempo di riprendersi, Rossana domanda qualche foto, mentre batto i piedi e le mani: sto gelando, nonostante il tè e il sole, sono fermo da troppo tempo. Mi distraggo scattando foto alla striscia scura di spettatori in attesa dei primi atleti, là sotto, al Nery e alla Torché, al grande Mars che domina le mie Alpi Biellesi; poco alla volta attacchiamo la lunga, sinuosa cresta nevosa che, erta e oggi affilata, conduce alla vetta del Breithorn Centrale. 4160 metri. Non tornavo quassù dal 25 agosto del 2014, quel tristissimo agosto che mi ha portato via mia madre: da allora non è trascorso giorno senza ch’io l’abbia pensata, cercata, senza che ne abbia difeso in ogni modo la memoria, il nome, la passione. Ciò che è stata e che mi ha lasciato. E ancora una volta, quando Champoluc si scopre per qualche istante, cerco con lo sguardo il nostro palazzo, davanti alle funivie e lungo l’Evançon: trentuno anni insieme, là, su quel balcone a guardare i due Breithorn, a scrutarli con il binocolo - quelli, o il Palon di Resy, o il Rosso di Verra - quando la chiamavo al cellulare per dirle: Ehi, Franchetta, sono in vetta. Quanto mi manca, e quanto è bello ancora una volta esser qui, sentire il ghiaccio duro e la neve gelata, scorgere mezza Svizzera e tre quarti della Valle d’Aosta, capire che questa è tutta la mia vita e che, se torno quassù, io non temo nulla e nessuno.

Scendiamo con cautela dal Centrale, sfiorando altre cordate, felici. Davanti a noi il pendio settentrionale disegna una sensuale, profonda rientranza che mi ricorda cose non dette, forme sognate e per sempre ricordate: e nel punto più profondo, appena oltre la Sella dei Breithorn, l’elicottero di Air Zermatt è tornato nuovamente all’attacco. Ma ora il sospetto è confermato: altre alpiniste ci hanno raccontato, con parole veloci, che un ragazzo è volato dalla Nord. E giù in basso ci sono due, tre, quattro Guide e soccorritori svizzeri al lavoro: hanno attrezzato un paranco, sentiamo seghe e trapani ronzare al massimo, pulsando nell’aria rabbiosa, il Cervino impassibile alle loro spalle. L’elicottero con le stelline fa la spola, impotente, scarica materiali e persone, finché - appena arrivo alla Sella - si alza deciso, il payload master sospeso sul pattino a sorvegliarne il verricello: una slitta, una barella si stacca dal ghiacciaio, insieme ad un soccorritore sospeso nel vuoto. Il ferito, uno scialpinista italiano caduto per 200 metri e finito in un crepaccio profondo 15 metri, inizia finalmente il suo volo verso l’ospedale di Berna: ha riportato ferite e lesioni alla colonna vertebrale, e non sappiamo ancora cosa sarà di lui, né come abbia potuto cadere nel crepaccio.

Non è ancora finita. Il sole è alto, gli atleti del Mezzalama corrono sul plateau alle nostre spalle, là in basso. Dalla Sella, dopo una breve consultazione e una piccola orgia di cioccolata e frutta secca, decidiamo di proseguire: io, Rossana e Massimo verso l’Occidentale, gli altri due amici in discesa verso il Plateau Rosa. Il crinale, sempre erto dopo la prima china più moderata, è abbastanza affilato rispetto alla salita di agosto, e rispetto a quanto visto il primo gennaio 2015 con la mia amica Audrey - che oggi mi manca moltissimo. Tuttavia ho visto di peggio e, tra i ramponi e la picca, non ho particolare motivo di apprensione.

Un po’ di tensione: a metà cresta, in salita, la corda si tende e mi strattona. Non riesco a spostarmi, né a voltarmi, tanto è sottile la crestina: con un piede sono sulla dorsale, con l’altro giù in Svizzera. Urlo a Rossana per chiederle cosa stia succedendo, proprio quando mi accorgo che, duecento metri sotto di me - esattamente al disotto - l’elicottero della Air Zermatt è in hovering, immobile: vedo archi di luce disegnati sul rotore, anzi, vedo l’intero diametro del rotore dall’alto, cosa certo insolita. Se buttassi qualcosa lo centrerei in pieno; se cadessi, avrei l’imbarazzo della scelta, potendo morire per la caduta, frullato vivo dalle pale, o in seguito al disastro aereo provocato. Finalmente la corda si allenta, riprendo poco alla volta a camminare, sentendo a tratti le richieste di Rossana e rallentando di conseguenza; a metà salita, l’infida crestina si inerpica di un metro o due, obbligando a scavallare e tornare con un piede per volta in Italia. Punto delicatissimo, che richiede il “cambio picca”, ovvero di cambiare la mano con cui si tiene la piccozza, giostrando con la corda ed evitando i colpi di vento per non ramponarsi: tratto delicato, delicatissimo, e non aiuta che nel frattempo io stia mugugnando o subvocalizzando E lucevan le stelle di Puccini. Considerando che il poveruomo, oltre a ricordare la sua Tosca, sta per esser passato per le armi.

Pochi passi più in alto, tuttavia, la traccia ritorna sul filo di cresta: non più larga dei miei due piedi affiancati, ma mi consente un’agile piroetta. Alle mie spalle, tutto l’arco del Rosa e, più vicina, Rossana che si tiene con apprensione e attenzione: la nostra corda gialla freme nel vento, mentre scatto una foto al volo. Guadagniamo l’Occidentale così, in punta di piedi, abbracciando entrambi Rossana che è stata davvero in gamba: quassù c’è il solito circo, centinaia di tizi rumorosi e colorati, intenti a cercare il campo per il 3G o a urlare l’un l’altro in tre lingue diverse. La discesa, dopo le foto di rito con il Cervino, è lunga e laboriosa: se c’era una traccia creata da alpinisti appiedati, gli sciatori l’hanno colmata da tempo, e mi tocca scendere con cautela. Si sprofonda, nella parte inferiore dell’Occidentale, e giungo con un sospiro di sollievo al grande Breithornplateau, dove indossiamo le provvidenziali ciaspole: qualche centinaio di metri e, affiancando alcune cordate di atleti del Trofeo Mezzalama, guadagniamo lo skilift che collega la Gobba di Rollin al Piccolo Cervino.

Il resto, come si dice, è storia. Una rapida discesa alla volta del Plateau Rosa, dove arriviamo alle 15.10; 12,76 chilometri totali di percorrenza, in tempo per scendere a Cervinia, dove piove. Per assistere alla premiazione del Trofeo Mezzalama, condotta da un presentatore urlante ed entusiasta, in un prato fangoso, al cospetto di atleti formidabili e di un pubblico giustamente festante: che giornata, e che corsa, la loro. Il tempo è ormai peggiorato, la finestra meteo su cui tutti noi abbiamo puntato ogni cosa si è chiusa, ma è andata bene così.

Non vedevo l’ora di tornare a parlare di montagna e alte quote, di respirare quell’aria così particolare e rarefatta, quelle punte di gelo che s’insinuano in gola: non vedevo l’ora di chinarmi ad allacciare i ramponi, di bere quella sottile sensazione di gioia mista a potenza che si prova quando, una volta ben legati, li si prova con cautela per qualche passo. E dire che ero stato sull’Occidentale, da solo con la mia amica, il primo gennaio di quest’anno: oggi mi pare di esser tornato su quelle cime per la prima volta, tanta ne è la soddisfazione.

Né la sveglia di oggi alle 03.00, né quella di lunedì alle 04.45 per il lavoro, possono competere. La verità è una sola… Non mi sarei perso questa giornata incredibile per nulla al mondo. Ed è ai miei amici che la dedico, con il cuore.

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