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Piramide Vincent e Balmenhorn, 2015

 

Caldo, sole, assenza di vento: uno scenario apparentemente non troppo atipico per il Monte Rosa in estate, eppure…

Originariamente nata quasi per caso, come semplice gita in giornata, la salita di Varasc.it di domenica 12 luglio 2015 alla Piramide Vincent e al Balmenhorn ha delineato le allarmanti condizioni dei ghiacciai del Rosa. In tal modo, una semplice salita giornaliera al primo e più accessibile dei Quattromila del massiccio si è trasformata in un’utile esplorazione, con la condivisione delle significative fotografie sia sul sito che nella pagina correlata di Facebook.

 

Piramide Vincent. Il ritorno

Paradossalmente, l’ex ghiacciaio di Indren non si è presentato in condizioni troppo differenti da quelle dello scorso anno, privo oltretutto di ghiaccio vivo e con rivoli di fusione relativamente contenuti, anche nel pomeriggio. Tuttavia, una volta superate le ben attrezzate “roccette” lungo l’erto camino provvisto di pali di legno, lo sfacelo ha cominciato a rivelarsi tutto d’un colpo: l’ampia conca del Garstelet, compresa tra i rifugi Città di Mantova e Gnifetti, rivelava una superficie rocciosa priva di neve assolutamente superiore rispetto agli anni precedenti. Un “male” che pareva aver colpito l’intero massiccio del Rosa, l’intera alta Valle del Lys, così come l’alta Val d’Ayas, come osservato in precedenza durante la traversata integrale del Castore del 5 luglio 2015: perfino la Punta Giordani mostrava la sua lunga, erta rampa in condizioni da “fine stagione”, sporca di detriti e neve scaricata dall’alto, rovinata, perfino emaciata. Ma erano le rocce emerse, prive di copertura nevosa, a colpirmi soprattutto.

La nostra doppia cordata si è avviata sul martoriato ghiacciaio del Garstelet, risalendo di buon passo il pendio curvo verso, e oltre, la sagoma lignea della Capanna Gnifetti e il suo sperone roccioso. Dal lato opposto di questo immenso ingresso del Rosa, la seraccata della Piramide Vincent pareva già minacciosa: per la prima volta in tanti anni, tuttavia, la minaccia più immediata si celava al suolo, sotto forma di sottili e lunghi, lunghissimi crepacci paralleli alla traccia battutissima. Solchi larghi forse mezzo metro, lunghi cinque, dieci, trenta metri, perfettamente distanziati rispetto alla traccia; una serie di solchi tra noi e lo sperone roccioso con la cappella della Capanna Gnifetti, e altrettanti a destra, verso i 4215 metri della bella Vincent. Quest’ultima aggettava verso sud una crestina slabbrata di pure rocce scure, prive di neve, che digradava senza soluzione di continuità verso il ghiacciaio.

Dopo il Gran Paradiso e la Parete Ovest del Castore, questa era la nostra terza gita in alta quota, per quest’estate: eravamo ben consapevoli della ferma presenza dello zero termico a 4800, 4900, 4400 e ancora 4700 metri in tutte queste settimane. Tuttavia, personalmente parlando, non mi aspettavo un impatto così forte sui pur possenti ghiacciai del Monte Rosa, a quote così elevate.

Più in alto, la sorpresa si è ulteriormente acuita. Tra la Vincent e le rocce del Balmenhorn, infatti, ci siamo imbattuti dapprima in immensi crepacci a semicerchio, e quindi in un’autentica mostruosità: definirla “crepaccio” sarebbe riduttivo. Si trattava infatti di una fenditura a forma di antico anfiteatro, estesa per centinaia di metri e più alta nella parte centrale: una sorta di gradino, o dislivello glaciale con annesso crepaccio, che si attraversava su un fragile ponticello di neve. Questo dava adito al solco della traccia sul bordo superiore del gradino, quasi in asse con le rocce inferiori del Balmenhorn e con il soprastante Corno Nero. Una volta superato, il “terreno” o pendio glaciale riprendeva più uniforme verso il Colle Vincent, ampio come sempre: ma anche quassù, al bordo con la Parete Est del Rosa, altri crepacci concentrici minavano il grande bordo glaciale.

Giunti in vetta alle 11.52, a quota 4215 metri e in assenza di vento, abbiamo potuto constatare l’assoluta assenza di ghiaccio vivo sull’intero versante meridionale e orientale del Naso del Lyskamm, notando tuttavia qualcosa di più ravvicinato e preoccupante - confermato dalla successiva salita al Balmenhorn. Discesi infatti al Colle Vincent (4088 metri), per la classica e normale via dell’andata - battutissima, vista la bella giornata festiva - abbiamo preso una delle tre tracce che risalivano verso il nero bivacco Giordano e l’imponente statua del Cristo delle Vette. Ai loro piedi, un’enorme e alta frattura grigiastra correva al posto dell’usuale, ampio colletto di neve compatta esteso tra il Balmenhorn e il Corno Nero: una via di mezzo tra crepaccio e frattura, quasi l’effetto di un’immane rasoiata contro il piccolo valico, che aveva snudato come gengive malsane molti più metri delle rocce del Balmenhorn di quanto fosse normale. La frattura, nel punto superiore, mi superava in altezza; tutt’intorno la neve appariva rovinata, sporca, chiazzata di feci proprio in corrispondenza del tratto attrezzato per salire al Balmenhorn.

Raggiunto il colletto così danneggiato, tornando a rivedere il Lyskamm Orientale, ho notato un altro dettaglio inquietante: il vasto pendio retrostante mostrava inequivocabili segni della stessa perdita di volume glaciale appena riscontrati. Lungo tutto il bordo inferiore del Corno Nero, difatti, correva un gradino - seppure inferiore a quello appena superato con cautela - quasi che un gigantesco cucchiaio avesse scavato tonnellate e tonnellate cubiche di ghiacciaio. Metaforico cucchiaio a parte, è esattamente quel che è successo, in pochissimo tempo: un inverno meno abbondante del precedente in quanto a precipitazioni, un mese di luglio eccezionalmente caldo, lo zero termico ancorato per quattro settimane sopra i 4.000 metri, con punte eccezionali di 4900 e 4800 metri nella libera atmosfera.

La discesa, resa delicata dai crepacci, ci ha obbligati ad aiutare cinque scialpinisti, in presenza dell’immenso gradino a forma di anfiteatro, il cui ponticello di neve era crollato: il passaggio richiedeva un salto veloce, accompagnato a un’estrema cautela. Il dispiacere per le condizioni dell’amato Monte Rosa, il senso di mancanza per non aver salito il pur vicino Corno Nero in un'estate che vedrà qualsiasi risalita quassù così precaria, la preoccupazione per le possibili future salite, mi hanno accompagnato fino a Indren, oltre che nel lungo tragitto fino a Biella e, quindi, a Milano.

                                 

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