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Ritorno al Breithorn Occidentale, giugno 2009

 

Per chi frequenta abitualmente le valli valdostane a sud del Monte Rosa o nei suoi immediati paraggi - Val d'Ayas, Valle del Lys e, anche, Valtournenche - la bella triade dei Breithorn è una presenza consueta e frequente. Una lunga muraglia nevosa i cui componenti sono estremamente facili da riconoscere: l'Occidentale , completamente candido, il Centrale, composto sia da ripidi pendii nevosi che da una erta e scura parete rocciosa, i due Gemelli, arditi spuntoni di roccia inghirlandata dalla neve e dal ghiaccio, che premettono la sagoma inconfondibile della Roccia Nera. La storia di questa nobile cima e la sua bibliografia sono narrate in Varasc.it e nel manuale Le Vette della Val d'Ayas, ai quali consiglio di far riferimento per informazioni più dettagliate.

Dalla prima salita al Breithorn Occidentale dell'ormai lontano giugno 2005, tuttavia, non tornavo nell'antica conca del Breuil successivamente diventata Cervinia.  

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E' la mattina di sabato 27 giugno 2009 e sono in piedi, giustamente iperattivo, dalle 04.50: sveglia, doccia, un viaggio monotono in cui i colori paiono fondersi all'occasionale andirivieni dei tergicristalli. Alberi, piante, asfalto e massicciate trasudano acqua; un cielo basso sopra la Croix Courma ed il Bec Renon cela tutte le vette più alte e pare aver stordito la stessa presenza umana, lasciandomi viaggiare da solo per lunghi tratti. Paesi deserti - Bard, Donnas, Pont Saint Martin - ed uniche presenze di pietra: il Forte, l'antico castello di Arnad, la rocca di Verrès, e quindi i manieri di Chenal e Saint Germain. Spero in qualche meta secondaria in Valtournenche, giusto per salvare la giornata. Arrivati a Cervinia veniamo accolti da diffusi e frenetici lavori stradali che ci obbligano a continue deviazioni, fino a sbarcare nell'ampio e concavo parcheggio sterrato appena oltre le gigantesche installazioni delle funivie. Gli impianti riaprono proprio oggi, 27 giugno: ecco perché avevamo optato per questo eventuale "4000 in giornata" per inaugurare il ritorno della stagione in quota. Purtroppo al momento la conca del Breuil è chiusa da una cappa di nuvole e nebbie striscianti, il Cervino non esiste più. Nel dubbio di Federico vedo riflesso il mio stesso profondo scetticismo. Non ho nemmeno preso il mio zaino da alpinismo, optando per il normale sacco dell'Esercito che mi accompagna nel 90% delle salite: non siamo tuttavia saliti alla meno peggio, a mò di inconcludenti sbandati, poiché non è questo il nostro modo di fare e di porci nei confronti della montagna. Nei giorni precedenti abbiamo accuratamente vagliato bollettini e carte meteo, ho perfino intrattenuto una veloce corrispondenza con i cortesi meteorologi elvetici. 

Eravamo equanimamente pronti a scattare verso il Plateau Rosa od a tornare a valle, senza recriminazioni; non ha senso prendersela per il meteo o per le condizioni della montagna, non sono fattori che si possano per ora controllare a piacere. Ad ogni modo, il responso di queste ricerche era stato molto chiaro: possibile nuvolaglia "bassa" al mattino, ampie schiarite, definitivo annuvolamento dopo le 14.00, temporali nel pomeriggio. Sia io che Federico abbiamo pertanto deciso di provare, approfittando della riapertura estiva degli impianti per essere più veloci, poiché le salite in programma nei successivi fine settimana ci precluderanno a lungo il bellissimo e panoramico Occidentale.

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Ora, però, di velocità e salite non si dovrebbe nemmeno parlare. Poco alla volta il piazzale sterrato si anima: grosse vetture scaricano una ventina di coloratissimi snowboarder, più intonati ad un contesto natalizio che a questa natura morta ed umida. Automobili più morigerate portano invece piccoli gruppetti di alpinisti, riconoscibili anche a grande distanza dal vestiario simile al nostro, dal minore numero di decibel sparati in aria e, soprattutto, dagli zaini. Le due categorie non si mischiano. Impieghiamo mezzora di chiacchiere, domande ed interviste da parte del sottoscritto prima di arrenderci: non riusciamo a trovare un altro passeggero disposto ad acquistare un ticket andata e ritorno procurandoci lo sconto di 19.50 Euro, per cui mi rassegno e pago 27 Euro per salire al Plateau Rosa. In fondo, crepi l'avarizia!, sono finiti i tempi universitari in cui per raggranellare un po' di soldi dovevo ammazzarmi di traduzioni, articoli e quant'altro. Inoltre tutte le ragazze intervistate in merito non hanno accennato alla minima fretta, nell'ascoltarmi, il che è positivo, malgrado il mio tagli di capelli mohicano.  

Dissolvenza: ore 08.30, rifugio Guide del Cervino. Un bel cane bianco di razza indefinibile mi guarda scodinzolando timidamente mentre ne saluto i proprietari tedeschi, asserragliati intorno a due tavolate lignee; Federico sta ordinando un the caldo da ben 3 Euro. I signori ci guardano complimentandosi, vedendo che ci stiamo preparando ad uscire di nuovo: i complimenti sono effettivamente un po' scettici. Non ho visto granché della salita da Cervinia, perché come sempre, in assenza del nobile Cervino, la vista delle grandi costruzioni stile Vele di Scampia mi fa perdere ogni interesse per il paesaggio. Inoltre il primo tratto è completamente avvenuto tra le nubi, lasciandoci intravedere la Gran Sometta ed il suo ampio lago artificiale, qualche marmotta spaesata intenta a sbrigare i propri affari, molta neve residua. Sono con noi Luigi, Riccardo e Giulio, tre amici provenienti da Ceva con cui condivideremo questa improbabile salita: ormai il pessimismo è talmente radicato da apparire scontato per tutti e cinque. Si tratta solo di salire per scattare qualche fotografia e giustificare almeno in parte questi benedetti biglietti della Cervino S.p.A., gli unici a mostrarci, fotografato sul retro, un panorama veramente mozzafiato. Intanto, ce la prendiamo comoda, Inshallah.

Siamo tra i primi ad approdare al Plateau Rosa, le cui alte torri di riavvolgimento dei cavi della funivia si perdono nella bruma evocandomi le solite immagini del pianeta ghiacciato di Hoth. All'uscita dall'ultima, grande cabina proveniente da Plan Maison ci accolgono vento gelido d'infilata, gocce d'acqua e frammenti di ghiaccio, mentre croccanti superfici glaciali celano cemento e gradini. Sospiriamo, evocando toast caldi e magari una bella grolla superalcolica: è lo scenario meno allegro del mondo. Oltre i tornelli e la linea gialla del confine italoelvetico il nulla bianco inghiotte ogni cosa, ancora prima dei bastoni colorati che delimitano le piste; ecco perché, quasi di comune accordo, abbiamo tutti piegato a destra raggiungendo l'ospitale Guide del Cervino. Nessuno di noi spera di poter vedere il Breithorn, che nessuno, a parte il sottoscritto, ha nemmeno mai salito. Tuttavia non siamo afflitti da improbabili smanie meteopatiche e, sostenendo giustamente che si tratta solo di seguire delle piste, proviamo. Del resto a nessuno piace l'idea di rimanere inchiodato in quell'improbabile avamposto cementizio. Federico approfitta della mia attenzione nell'allacciare i ramponi (ho calzato le demoniache ghette in funivia, perdendo volentieri l'intero tratto da Plan Maison) per cacciarsi nello zaino almeno venti metri della mia corda, e mi minaccia cordialmente di morte ogni volta che gliela chiedo indietro. Partiamo alle 08.45 seguendo un velocissimo mezzalamista e la sua compagna di cordata, presto inghiottiti dalle nebbie che indugiano sul Plateau Rosa lasciandoci una visibilità di circa venti passi; dietro di noi, due sugli sci ed uno a piedi, i ragazzi della Forestale di Ceva. Intorno, i paletti delle piste.

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Nel nulla ovattato si palesano ad intermittenza le sagome velocissime degli sciatori e, meno immediate, quelle degli snowboarder: i ragazzini scendono per circa cento metri prima di buttarsi a terra sul sedere ed aspettare i loro amici, lanciando ululati. In ciò pare consistere lo spasso generale. Fa caldo e, nel giro di venti minuti, ci fermiamo due volte per spogliarci progressivamente: ho portato di tutto, giacca e guanti, l'odiato berretto e le luciferine ghette, ARVA e suo contorno, due paia di occhiali da sole, barrette di cioccolato ed altre appiccicose menate per un reggimento... Non esitiamo però a cacciare ogni cosa negli zaini, perché questa nuvola sembra trattenere il calore, e stiamo ormai sudando. Rimpiango gli shorts con cui normalmente vado in montagna da maggio ad ottobre, i prati verdi, mille altre cose. Qui la picca certo non occorre, e d'altro canto io non ho un bastone, perché diffido delle trappole telescopiche dopo un mancato incidente sulla cresta del rifugio Quintino Sella e perché uno dei neri bastoni da sci che usavo in alternativa è rimasto a Legnano, così salgo disinvoltamente a mani vuote, la piccozza pronta tra schiena e zaino. Alle 09.20, improvvisamente, la pista svela a destra la galleria in lamiera ondulata in cui eravamo stati costretti a passare nel 2005: un incubo di Escher con sciatori accecati dal contrasto tra luce ed ombra che ci sfioravano velocissimi, neve compressa ai lati che ci impediva di stringerci contro i bordi metallici. Questa volta invece la pista scorre a sinistra della trappola, sulla quale sono approssimativamente accumulate travi lignee: siamo a 3665 metri d'altezza e proprio da qui avremmo potuto godere di un panorama inenarrabile sul Cervino e la sua corte.

L'umore, tuttavia, è alto; saliamo scherzando, sempre all'insegna del proviamo a vedere, in modo che l'allegria e il senso di sfida comuni a tutti e cinque annullino il razionale scetticismo del singolo. Inoltre non piove, si sta bene, si sale senza fatica alcuna su neve liscia e ben battuta, che è un piacere mordere con i ramponi; non vediamo niente e, forse per questo, l'illusione di trovarci a quote molto più basse è fortissima. Per concludere, queste piste battute sono un lusso quasi vergognoso per me e Federico, dopo gli improbabili sentieri ed i passaggi da Predatori dell'arca perduta su cui ci siamo avventurati per tutto l'inverno 2008/ 2009. Non parto mai dal presupposto di soffrire la quota e, difatti, non mi capiterà nemmeno oggi, pur essendo rientrato or ora dalla calda Milano, dall'asfissiante metropolitana e dai due passi in Corso Magenta, dai suoi insidiosi aperitivi e happy hour, dalle ragazze e dalle sue notti insonni. Provvediamo ad adottare un buon passo ed a respirare bene, senza risentire della quota. La condensa decora barbe, barbette e capelli con cristalli di ghiaccio. Mi ritrovo addirittura a fischiettare il motivo che ho in mente Sonne dei Rammstein, con grande strazio degli altri. Un mantra di fiduciosa ed infantile speranza, più che un motivo: Alle warten auf das Licht / Fürchtet euch, fürchtet euch nicht... Pare veramente appropriato al momento. Così ne ripeterò almeno mille volte, oggi, il ritornello magico, implorando questa zuppa di alzarsi, evocando vento, sole, luce, spazio e panorama:
 

Eins
Hier kommt die Sonne
Zwei
Hier kommt die Sonne
Drei
Sie ist der hellste Stern von allen
Vier
Hier kommt die Sonne
Fünf
Hier kommt die Sonne
Sechs
Hier kommt die Sonne...

..Malgrado la ripetitività, nessuno attenta alla mia vita.

La coppia che ci precede deve conoscere bene la strada poiché il loro gioco, tra le piste, è ancora più efficiente di quel che avevo in mente io: io e Federico approdiamo infatti ai piedi del Piccolo Cervino senza averne visto le rocce, semplicemente seguendo la pista, mentre i nostri due predecessori hanno "tagliato" prima verso nord. Le tracce tuttavia si incrociano e teniamo prima uno, poi tre briefing volanti: non si vede nulla ma tutti abbiamo ben chiaro dove si trovi la pista che ci ha portato fin qui, e superando l'ultimo skilift mettiamo piede sul Breithornplateau. Chiudo gli occhi e cerco di ricordare: un ampio, enorme pianoro nevoso, incorniciato in fondo dalla scintillante parata dei grandi 4000. I nostri due scout sugli sci individuano una traccia che punta verso nordest, curvando quindi a nord, e seguiamo quella. Camminiamo in fila indiana, a tratti avvicinandoci, quando all'ennesimo invito Hier kommt die Sonne accade il miracolo: la luce aumenta, per un attimo riusciamo a scorgere il movimento di questa cappa nuvolosa prima immobile e prepotente e, senza soluzione di continuità, ci ritroviamo nell'estate più profonda. In uno scenario da cartolina, da screensaver, da diapositive proiettate a settembre agli amici meno prossimi alla montagna: sole, neve abbacinante, cielo blu cobalto e, proprio davanti a noi, il grande pendio meridionale del Breithorn. Gli siamo già così "sotto" da scorgere appena il Centrale, sulla destra: all'estrema sinistra il Cervino non vuole essere da meno e lascia sporgere la propria vetta, per guardarci benevolo. Fortuna audaces iuvat. L'umore sale alle stelle, il clima vira invece verso le temperature equatoriali, così la tradizionale pausa ai piedi del pendio diventa un accurato ed approfondito ricorso alla crema solare "da ghiacciaio". Offro a Federico ed agli altri l'elaboratissimo succo di frutta che ho scarrozzato fin qui, probabilmente prodigioso contro i nostri radicali liberi!, tuttavia malauguratamente acido: gli procurerà qualche disturbo "bloccandogli" lo stomaco, durante l'ultima parte della salita. In concerto con un paio di biscotti ai cereali presi in vetta, pare. 

La situazione è girata su sé stessa, siamo dunque passati dall'impossibile all'ormai scontato e nessuno, incredibilmente, dubita più della riuscita dell'impresa: faccio notare al gruppo che solo un'ora prima sarebbe stato assurdo ipotizzare di vedere il Breithorn, mentre ora ne stiamo addirittura preventivando la discesa dal Centrale. La traccia sale, elegante, piegando verso sinistra e quindi in alto. Siamo la terza cordata, io e Federico, preceduti dalla velocissima coppia ormai in vetta e da quattro cortesi francesi che, in vetta, condivideranno con noi la frenesia dei vicendevoli scatti di gruppo. Mi stupisco di trovare del tutto scoperte, poco sopra di noi, le rocce della "linea verticale" che contraddistingue il Breithorn Occidentale: mai avrei pensato di vederle, dopo un inverno così nevoso. Basterebbe poco per toccarle. Sono le 11.20 quando, finalmente, ritorno sulla vetta dell'Occidentale, a 4165 metri di quota, in pieno sole. Nel 2005 ero corso a vestirmi, mentre questa volta non sarà necessario, vista la totale assenza di vento: siamo in piedi al disopra di un piatto mare di nuvole settentrionale mentre, a sud, si innalzano irregolari e possenti formazioni nuvolose, dal bianco innocente al grigio cupo dei temporali, per fortuna più lontani. Ho la brillante ed economica idea di chiamare mia madre malgrado il costoso roaming elvetico, ma cosa importa, non le capita certo tutti i giorni di sentirsi chiamare da un 4000! La linea è perfetta, pare di chiamarla dalla stanza accanto. La tecnologia...

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Occorre correre avanti ed indietro sulla cresta sommitale, impugnando la fida Zeiss-Ikon o la piccola e miagolante Canon, per immortalare queste vette poco desiderose di mostrarsi, come nobildonne troppo belle ed indolenti per semplici mortali: mi ricordano le ore passate sotto il balcone della mia prima fidanzatina, a Champoluc, quando non ero che un ragazzino... Ore di noia aspettando che i genitori la lasciassero uscire, o meglio ancora che uscissero loro. Qui è lo stesso: il Rosa si sta svelando!, ora il Cervino, ma la vetta si frappone tra me e l'obiettivo, devo tornare indietro facendo lo slalom tra corde, sci e zaini. Poi è il Centrale a scoprirsi, per pochi istanti: i francesi mi chiamano, altri scatti... 

Hier kommt die Sonne o la benevolenza degli dei ci hanno portati fin qui, ma non durerà certo a lungo. Se a nord un mare uniforme di nuvole e spuma si estende sulla Confederazione, lanciando al disopra incredibili cumuli ove sorgono i Mischabel, a sud la situazione è sempre mutevole: sole sul Breuil, poi nebbia che chiude tutto, cumuli altissimi e nerastri resi lucenti dal sole che splende su di noi. Scorgiamo parte di Ayas e perfino la Gobba di Rollin, poi un cumulo tracotante si sposta fino ai nostri piedi, celando addirittura il Breithornplateau. Con rammarico ci rendiamo conto di aver già ottenuto il massimo, non si può tirare troppo la corda in una giornata come questa, già abbondantemente rubata al maltempo. Niente Centrale, dunque: nonostante fosse lì vicino, accessibile, bellissimo, nonostante fossimo tutti al pieno delle energie e dell'entusiasmo, già pronti a scendere e risalire... Niente da fare, insomma. Gli amici firmano il mio libro di bordo e scendiamo per le 12.16, fermandoci ancora per qualche suggestivo scatto ad un Cervino nibelungico, prima di riguadagnare velocemente il plateau sottostante. Nessuno, e certo non io, vorrebbe andarsene. Superiamo cinque cordate ancora impegnate nella salita, mentre, sorpresa!, il ghiacciaio al disotto è punteggiato da moltissimi alpinisti, evidentemente partiti dopo di noi; il cupo piazzale di Cervinia deve essersi improvvisamente riempito. Ogni volta mi butto sulla sinistra per cedere il passo a chi sale, perchè che diamine!, è la tradizione, inanellando saluti ed auguri in tedesco, francese e perfino spagnolo, con gran divertimento di chi mi segue. Non tutti sono in forma, come un anziano tedesco estremamente provato, la cui corda va dal collo - in minacciose e trascurate volute - ad almeno cinque metri alle sue spalle, sotto e tra i ramponi. Altri salgono senza ramponi, altri ancora, senza piccozza. A questo punto non mi trattiene più nessuno, specialmente man mano che, allontanandoci dal Breithorn, spuntano il Polluce, il Castore: la strofa Sie ist der hellste Stern von allen assurge al puro e sincero rango di ringraziamento pagano e panteista. Per la luce, per questo calore allucinante, il panorama, per queste fotografie che mi stupiranno molto più delle solite immagini scattate con bel tempo. Ancora una volta, stranamente, nessuno attenta alla mia vita o chiede semplicemente di cambiare canzone.

Rientriamo nella zuppa informe e grigiastra, il sole ridotto ad un punto poco più chiaro sulla volta nuvolosa. Saluto ogni persona di tutte le cordate che incontreremo sul Breithornplateau, perché ho goduto di una bellissima vetta in un giorno del tutto improbabile, perché sono contento, perché è giusto così. Alle ore 13.50 raggiungiamo nuovamente, nella penombra, il Guide del Cervino e la funivia, nel vento freddo. Le nuvole si richiudono in più strati e, scendendo, li attraversiamo tutti: Cervinia, quando finalmente usciamo dallo spoglio mausoleo delle funivie (rallegrato da alcune spiritose pubblicità di carattere alpino) è immota e quasi ferma, in attesa del colpo del temporale, dello scrosciare dell'acqua. Nel corso della discesa abbiamo sorvolato un piccolo alpeggio in vista dei mastodontici templi del lusso mondano, ma la sensazione di inquietudine e di spietato anacronismo che ha lanciato contro di noi non è riuscita a scalfire il senso di trionfo che permeava la piccola cabina. Sul piazzale, ora, splende una improbabile e calda lama di sole. La Peugeot è un piccolo forno blu.

* 

E' domenica mattina, il 28 giugno, del giorno di ieri restano solo le fotografie e qualche marginale scottatura nei punti sfuggiti alla crema solare - colpa mia che ho efficientemente tagliato i capelli in stile Sbarco in Normandia. Sole e nubi si alternano sul Biellese, ho appena finito di riordinare zaino, imbrago, moschettoni ed aggeggi vari, corda e cordini, le infernali ghette ed i provvidenziali ramponi, la fedele picca "piccola", il tutto scrivendo queste impressioni e giocando con il pollo continuamente lanciatomi addosso (!) dal mio cane. Rileggo sorridendo la mia relazione del Breithorn Occidentale , stesa nel 2005 per questo medesimo sito... E ripenso a come, ieri, non ci sia parso più difficile di un grande, grandissimo Palon di Resy: come, in discesa, io non abbia mai nemmeno sfiorato la neve del pendio con la picca, completamente sicuro della tenuta dei ramponi. Come tutto sia andato piacevolmente in modo impensabile e non programmabile, saltando dal surreale alla certezza della vetta, senza stupore, senza niente altro che una impressione generale di predestinazione. Deus lo volt. 

Risento la perfezione di ogni movimento, le soglie della fatica appena sfiorate, nessun tintinnio o strappo o scomodità, nessun attrito tra gambe ed imbrago, tra spallacci e schiena, tutto perfetto. Tutto scorrevole, privo di problemi, automatico. E quando fastidi e difficoltà scemano in lontananza, diventa possibile ammirare il paesaggio o, in sua assenza, chiacchierare, riservare la propria cordiale attenzione alle domande degli altri alpinisti, turisteggiare amabilmente facendo altri cinquanta inutili metri solo per vedere cosa ci sia dall'altra parte della pista, pensare ai libri antichi che bramiamo, e così via. Una bellissima salita ed una giornata strappata al maltempo, all'ozio inquieto punteggiato da uscite sul balcone per controllare il nord... Le e-mail e le telefonate degli amici, le fotografie da condividere, i ricordi, qualche ustione, il relax post salita.

Il Breithorn Occidentale, un bellissimo regalo che è sempre bello ricevere.

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