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Monte Castore, anno 2011

Una cresta lunga e sinuosa, ormai ben conosciuta ed interamente al disopra del 4000 metri di quota: chilometri di aggraziati saliscendi nevosi battuti dal vento, frustati dalle raffiche e bruciati dal sole delle alte quote, sovrastanti un panorama immenso ed una disarmante moltitudine di vette. Questo, insieme al punto di arrivo di infiniti ricordi e di innumerevoli altre salite, è il Monte Castore; ed è qui che, nelle prime ore di sabato 13 agosto 2011, è nuovamente ritornato l'autore di Varasc.it. 

Un'estate atipica, densa di ascensioni accuratamente programmate e rinviate per colpa del maltempo, tra cui ben quattro annullamenti (in altrettanti fine settimana) della salita alle nobili Punte Zumstein e Gnifetti. La frustrazione si unisce alla consapevolezza di non poter rischiare con tanta instabilità, al non poter contestare il meteo; amici con cui avevo pianificato grandi salite terminano i periodi di ferie, con mutuo rimpianto. Impegni di lavoro, inderogabili e sacrosanti, sottraggono altri luminosi giorni di luglio ed agosto: alla fine, non ha senso programmare nuove ascensioni in luoghi inediti di fronte ad un'instabilità così pronunciata ed insistente. Almeno l'intramontabile Castore non delude.

I grandi Quattromila non sono montagne facilmente assimilabili alle consorelle di minor elevazione: quassù ogni stagione, ogni condizione climatica e perfino ogni apertura di via comporta lievi e grandi cambiamenti che si risolvono in creste affilate o ampie e scorrevoli, pendii slavati di ghiaccio vivo o ricolmi di neve compatta, affioramenti rocciosi o dolci gobbe nevose. Per tali motivi, oltre che per quanto concerne prettamente il singolo viandante (l'allenamento, la condizione fisica e psicologica, la maturità ed il modo di percepire che variano di anno in anno) ogni ascensione è unica, ogni salita al Castore è un gradito ritorno e, al contempo, una prima volta.

Il sentiero numero 9, rinnovato dalla Punta Bettolina in poi, ci ha condotti ancora una volta al vasto plateau del Rifugio Quintino Sella dove, dopo molto riposo pomeridiano ed una breve ma utile prova generale, abbiamo gustato una buona cena. Sono remoti i parchi menu dei rifugi d'antan: la sera del 12 agosto 2011, lo staff del Sella ha servito ottime orecchiette al sugo di pomodoro e zucchine, universalmente gradite all'eterogenea clientela multinazionale, seguite da roast-beef caldo con capricciosa e, per i vegetariani, una robusta fetta di torta salata agli spinaci. Dopo il dessert una piccola folla si assiepa accanto al bancone del rifugio, dove il gestore, signor Favre, raccoglie pazientemente i thermos per l'indomani ed i primi pagamenti; accoglie con sollievo la mia intenzione di pagare in contanti, in luogo delle laboriose transazioni mediante bancomat e carte di credito, per un totale di 103,00 Euro per due mezze pensioni e due thermos di thé caldo. La notte scorre tranquilla e, alle 04.00 di sabato 13, sono già in piedi. Dopo la colazione, non resta che iniziare gli accurati preparativi della partenza: l'ultimo controllo agli zaini ed alle tasche, indossare l'imbrago e calzare gli scarponi (nuovi per entrambi) nel relativo caldo del vestibolo anteriore del Sella, quindi fuori nel buio per ghette, ramponi e corda.

Il vento è forte, ma la temperatura mite e la mattina perfettamente stellata sono così clementi da consentirci di verificare i rispettivi nodi di cordata e la tenuta dei ramponi a mani nude, senza ch'io accenda la torcia frontale. Ore 05.21 partiamo, stelle ma forte vento, annoterò con un mozzicone di matita nel nuovo moleskine rosso che, per il prossimo anno, fungerà da taccuino d'escursione. Le vaste rampe del Ghiacciaio di Felik ci portano a fiancheggiare pian piano la sagoma allungata della Punta Perazzi, percorrendo 2 km in linea d'aria fino ai piedi del grande Colle di Felik. Le cordate sono molto distanziate, tre gruppi di fioche luci davanti a me ed altrettante alle nostre spalle; sulla mia testa brillano e girano lentamente remote costellazioni, riempiendo la mente di romantiche suggestioni conradiane, del ricordo letterario di guardie notturne in mari gelidi, maturate da antiche letture di London, O'Brian, Chichester, Hemingway ed altri ancora. Il senso di irrealtà, in questo silenzio ventoso rotto solo dal frinire ritmico dell'imbrago e dal metallico strisciare dei ramponi, è forte.

La salita al Colle di Felik mi riscuote, insieme all'aurora dalle rosee dita - mai una descrizione omerica apparve più appropriata e calzante. La corda è tesissima, il vento mi sbilancia o schiaccia sul terreno, ed alcuni passi - alti gradini che richiedono una falcata potente, d'impeto - mi costano fatica. Il mio orizzonte è chiuso dalla vasta e candida parete, con un pezzo di cielo chiaro al disopra ed i miei scarponi al disotto. So solo che sopra al colle ci attende un vasto, inaspettato pianoro ove potremo riprendere fiato. Felikjoch Kuppe. Cresta dolce, ampia, una cordata sta già rientrando: hanno rinunciato o sono stati velocissimi? Francesi: bonjour. Cedo il passo. Gràsie. De rien. E' la sesta volta che salgo al Colle di Felik e conosco bene la lunghezza  e l'aspetto di ciò che ci attende ancora. Sono salito quassù nel 2004, nel 2007, nel 2008, nel 2010. Ci tornerò nel 2013.

Felikhorn, qualche affioramento che avevo notato anche nel settembre 2010, durante la lunga traversata del Castore, con l'amica Manuela. Tedeschi, italiani, forse gli stessi spagnoli che avevano fatto tanto baccano al rifugio, nel tardo pomeriggio di venerdì 12; il vento è così forte che le corde, a tratti, restano rette a lato degli alpinisti, descrivendo brevi curve immobili ed allarmanti. Ma nei due tratti di cresta più nuda ed affilata, miracolosamente, le raffiche diminuiscono; il vento gioca tra i miei capelli, sbatacchiando il cappuccio che ho levato dal Felik in su, senza infastidirci troppo. Questa è la chiave del nostro arrivo in vetta, alle 08.08: paiono ore infinite!, invece siamo in cammino dalle 05.21. Qui il vento è forte, quanto l'affollamento: solo una coppia di italiani, lei energica e palesemente a capo della piccola cordata, in mezzo agli stranieri. Però tutti si capiscono, ridono e si stringono le mani. Scatto fotografie con quattro diverse macchine, oltre che con la mia Canon. Guardo l'impressionante linea di fila dei Quattromila che, simili ad antichi vascelli in rivista, corrono da qui al Cervino: il tondeggiante Polluce dalla rastremata cresta sud, la Porta Nera e la Roccia Nera con il minuscolo Bivacco Rossi e Volante, gli Orientali, il Breithorn Occidentale.

Ripartiamo alle 08.15, superando qualche cordata in punti delicati e mantenendo il passo finché gli ampi pendii soprastanti al Colle di Felik ci concedono qualche sorriso in più, tra pause fotografiche e tensione lievemente allentata. Raggiungiamo il Quintino Sella alle 10.10. Volti bruciati dal sole e dalla brisa fuerte, qualche sasso del Castore in tasca, da serbare con cura e regalare a poche, care amiche. Ed una lunga, laboriosa discesa piacevolmente allietata dalla conversazione, iniziata alle 11.13 e conclusasi a Saint Jacques, tra turisti in sandali e shorts, alle 17.20. Ben 23 km totali nelle gambe. Ancora una volta, un sogno realizzato e, solo per noi che l'abbiamo condivisa!, una storia da raccontare e ricordare.

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