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Traversata del Monte Castore, 2016

Una delle cime più elevate e iconiche dell’alta Val d’Ayas, il Castore è stato per molti, così come per l’autore di questo sito, il “primo” Quattromila. Non a caso, la bellezza delle sue forme, la linea purissima e sinuosa della sua lunga cresta sudorientale attraggono ogni anno centinaia di appassionati; questa montagna offre tuttavia molto più di una bella e appagante cresta, consentendo infatti la realizzazione di una lunga e intensa traversata d’alta quota. Una cavalcata di rara bellezza, che coniuga perfettamente due scenari e due panorami: l’ampio bacino glaciale di Verra, ai piedi dei Breithorn, della Roccia Nera e della Gobba di Rollin, e l’immensa balconata ai piedi dei Lyskamm, affacciata sul Monte Rosa.

L’alchimia di questa montagna è tale da esercitare un richiamo imprescindibile su chi scrive, giunto ormai al totale di nove salite sul Monte Castore e di quattro traversate, queste ultime negli anni 2010, 2013, 2015 e 2016. Un intero album fotografico è stato dedicato, nell'account Facebook di Varasc.it, alla salita di luglio 2016.

 

L’ultima salita è avvenuta il 2 e 3 luglio 2016, partendo da Saint Jacques insieme all’amica e compagna di cordata, Audrey. Superato lo storico rifugio Ottorino Mezzalama, con la sua nuova gestione, abbiamo raggiunto su neve fresca e ancora abbondante il Grande Ghiacciaio di Verra: rispetto all’estate 2015, la piacevole costante di questo primo approccio con l’alta quota è stata infatti la copiosa copertura nevosa, dovuta alle precipitazioni tardive di questi ultimi mesi. Non solo l’erta rampa sottostante il rifugio Guide d’Ayas al Lambronecca, bensì le stesse “rocce rosse” soprastanti il Mezzalama sono parse ancora innevate, con nostra sorpresa.

Se il pomeriggio di sabato 2 luglio è trascorso nel maltempo, con pioggia e nubi basse a celare il resto di Ayas, la notte ha visto un repentino cambiamento. Un forte vento caldo ha spazzato via le nuvole, consentendo anche un buon rigelo della superficie glaciale. Ed è stato così che, svegliati alle 03.45, abbiamo lasciato il sempre ottimo Guide d’Ayas alle 04.20, sotto la volta stellata e perfettamente limpida di un cielo così diverso da quello della sera precedente. Una traccia ben delineata sul fianco destro del ghiacciaio, quasi al bordo delle rocce nere di Lambronecca, le luci di Champoluc prima e di Antagnod poi a destra: un unico tratto crepacciato, parzialmente coperto dalla neve fresca e ben lontano dalla traccia, più avanti.

Il vento è fortissimo, a raffiche rabbiose. Riescono ad allontanarci di un passo dalla traccia, malgrado i ramponi, e a tratti a piegarci in due, quando fanno presa sullo zaino che agisce a mò di vela. Le peggiori cadono dalla grande “porta” del Passo di Verra, frustrando il pendio e cancellando ogni traccia là dove le cordate deviano a sinistra, verso il Polluce, o proseguono verso l’immenso scudo bianco della Ovest del Castore.

Ci fermiamo più avanti, non senza aver perso il copri-obiettivo della mia Canon, spazzato via da una raffica e mai più rivisto. Saliamo poco alla volta, parzialmente protetti dalla parete, su ottima traccia: i pendii sono cosparsi da neve riportata dal vento, la traccia è profonda e ben scalinata, i traversi lunghi e mai troppo esposti. Soprattutto, rispetto all’estate 2015, non c’è alcun crepaccio aperto: una meraviglia, ancor più incredibile viste le scarse precipitazioni di questo inverno.

L’alba irrompe dapprima sul Gran Paradiso e sul Bianco, le vette più alte si vestono per qualche minuto di un rosa prezioso, fragile, etereo. Una sorta di prisma di luce inverso affonda sopra Aosta, è già scomparso al traverso successivo: pura magia. Siamo ormai ai piedi della grande terminale del Castore.

Quest’anno, la traccia piega sensibilmente a sinistra, con un lungo traverso che punta dritto alla faglia nella parete. La supera saggiamente nel punto di minore apertura, con un piccolo gradino sospeso - praticamente - all’interno della terminale: occorre risalirla velocemente e con cautela, senza soffermarsi troppo a lungo nei dintorni. Corda tesa e sincronia nel salire insieme, superando prima l’uno e poi l’altra il grande crepaccio che curva e corre lungo l’intera parete.

Cinque minuti più tardi esco sull’anticima Nord, anche detta Nord-Ovest, del Castore. Il vento è forte, fortissimo, come prova un breve video che ho girato con le mani gelate, in pochi secondi: l’intera conca di Zermatt è nascosta dalle nubi candide e immote dell’inversione termica: una meraviglia. Fatichiamo tutti, noi e le altre cordate, lungo l’affilata cresta che connette l’anticima alla vetta del Castore: il ruggito dell’aria rende impossibile comunicare, vedo una mano invisibile spostare materialmente il mio piede sinistro dalla sua traiettoria. Più volte mi trovo in ginocchio, i ramponi e la lama della picca affondati il più possibile nella sottile passerella di neve: per fortuna non soffro di vertigini, né d’esposizione. Il mondo oscilla, la corda schiocca: le bretelle dello zaino risalgono a schiaffeggiarmi la parte più sensibile del volto, immediatamente ai lati degli occhi, e un pulviscolo finissimo, sparato alla velocità della grandine, riempie naso, bocca, occhiali.

Si erge la grande pinna sommitale del Castore, finalmente: ora c’è spazio a sinistra della traccetta, per la picca, anche se questa affonda più volte fino all’impugnatura. Una cornice! La luce filtra dal basso, è il lucore del pendio svizzero del Castore che penetra dal buco sottile della piccozza. Il vento alza cortine di neve selvaggia, sparata a decine di metri di distanza nel nulla sul versante italiano, e a tratti non vedo niente. A tratti, non c’è vento all’altezza del volto, ma non vedo nulla - intendo proprio questo: nulla - dal ginocchio in giù.

In vetta, Audrey si siede un momento, riprendendo fiato. Sono le 08.30. La cima è gremita di persone, tutte intente a fare la stessa cosa: respirare, dopo la drammatica, instabile e di per sé già molto aerea crestina appena percorsa. Il vento è sempre forte, ma la pur piccola cima del Castore pare grande e accogliente come una piazza: dobbiamo aspettare lunghi minuti perché altre cordate stanno pazientemente salendo lungo la normale, la cresta sudorientale, sferzata dal vento che a tratti le cancella alla vista. Scatto qualche fotografia: molte immagini risulteranno mosse, oggi!

Scendiamo sani e salvi al Felik, lungo l’ampia e sicura cresta del Castore, giusto il tempo per un secondo brevissimo video, nell'aria turbolenta. Turbinii di vento e neve danzano sulla cresta, strappandoci risate e commenti mentre ne percorriamo l’ultima rampa. Sul ghiacciaio sottostante mi fermo, memore del passaggio, e scatto qualche foto scenografica alle altre cordate ancora impegnate sul Felik: un paesaggio da sogno, tra il sole, il blu del cielo, le vampate bianche ed effimere della neve scagliata ovunque dalla bufera.

Ci riposiamo allo storico rifugio Quintino Sella a lungo, bevendo qualcosa per reidratarci. Il vento non è freddo, tuttavia è continuo, e l’effetto wind chill si fa sentire. Il rifugio è gremito, il ghiacciaio continua a portare nuove cordate.

Rientriamo per le 14.10 al Colle della Bettaforca, dopo un lungo tragitto su neve - una copertura eccezionale, estesa dalla cresta del Sella fino alla Punta della Bettolina. Un’esperienza unica, due giornate piacevoli, una traversata a dir poco perfetta e resa decisamente avventurosa dal vento.

 

                                               

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