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Breithorn Centrale e Occidentale, 2014

Nota: Questa pagina dispone di un tracciato GPS scaricabile nell'apposita sezione.

 

Un’estate strana e personalmente atipica, tristemente diversa dal trentennio precedente: un meteo avverso e bizzoso, grandi progetti alpinistici sognati per un anno intero e rimandati en masse al prossimo. Poche salite in Ayas, giusto il Corno Bussola a fine luglio, la Testa Grigia e il Bivacco Mariano a metà agosto; la perdita di una persona cara, mia madre, a spazzare via ogni cosa e a chiudere forzatamente un’epoca, un periodo più lieto, più… Condiviso.

Ormai alla fine delle mie cosiddette ferie estive del 2014, insieme all’amico Giorgio Debernardi, avevo pianificato un giretto di ripiego: una salita di due giorni alla Capanna Margherita, per fotografare tramonto, stelle ed alba da quel balcone privilegiato. Purtroppo le previsioni meteorologiche per martedì 26 sembrano virare verso il peggio, e ci tocca improvvisare: la mia amica Audrey suggerisce un 4000 tascabile, il Breithorn Centrale e l'Occidentale, che si può notoriamente raggiungere in circa tre ore dal Plateau Rosa di Cervinia e che garantisce panorama, evasione, oltre a una discesa rapida in caso di maltempo. Certo, la salita dalla Val d’Ayas  molto più bella ed emozionante, priva di odiose funivie e di altri trucchi meccanici; ma il tempo stringe e bisogna adattarsi.

Ho qualche timore per le mie gambe, nella fattispecie per i menischi, messi a dura prova il giorno prima dalla lunga e laboriosa discesa su Issime dai 3016 metri della Becca Torché: so tuttavia che rimpiangerei questa breve parentesi di tempo rubato alla burocrazia, al lavoro e al rimpianto. Ed è così che lunedì 25 agosto, dopo la sveglia alle 4.45, mi ritrovo nella grigia Quincinetto in attesa dei miei amici in laborioso avvicinamento da Santena e Veruno.

Il cielo è blu, le montagne ancora scure nella luce incerta che precede l’alba, lo Zerbion visto da Saint Vincent pare una muraglia scoscesa sulla quale si notano le recenti frane. Cervinia, dopo l’esoso pedaggio sull’autostrada più cara del sistema solare, mi pare come sempre esagerata: sovradimensionata nell’immensa conca del Breuil e ciò malgrado troppo affollata di palazzi immensi, negozi, pubblicità di crossover e fuoristrada. Saliamo in funivia alla volta del Plateau Rosa insieme alla nazionale giovanile di sci, a ogni fermata e soprattutto a Plan Maison giganteggiano poster di suv secondo i quali l’Italia è decisamente land of 4 ed è assolutamente necessario avere un papà cross per condividere falò notturni all’ombra del proprio Freemont. In altre parole, l’alpinista non rientra nel target di tutti questi sponsor, e forse è meglio così.

Partiamo alle 8.15 dai 3480 metri del Plateau Rosa, risalendo pazientemente le piste su cui sfrecciano i primi sciatori della giornata; una richiede un attraversamento un po’ azzardato, Audrey in testa a tutti sotto il naso di tre carabinieri fermi a bordopista. Il Cervino risplende cupo, la vetta incappucciata di foschia, mentre oltre il solco del Theodulpass si notano nubi scure e poco promettenti; la mia amica, come fosco vate, pronostica sfaceli e disastri meteorologici in chiave hollywoodiana mentre doppiamo lo scoglio del Klein Matterhorn, mutilato da ascensore, tunnel e panoplie di antenne - triste altare pagano al dio del turismo.

Abbiamo calzato subito i ramponi, poiché per quanto su piste tracciate stiamo pur sempre procedendo su un ghiacciaio, ma ci leghiamo solo all’altezza dell’ultimo skilift diretto verso la Gobba di Rollin. Mi sento in gran forma, malgrado la Torché del giorno precedente, con il suo mostruoso dislivello di circa 1600 metri e i venti chilometri di percorso; è bellissimo avventurarsi sull’immenso Breithornplateau, una candida tovaglia culminante nell’Occidentale, un deserto perfetto alla cui sinistra torreggia il Cervino e alla cui destra, lontano, si apre lo scudo della Ovest del Castore. Ci sono già alcune cordate, tutte composte da stranieri, inglesi o germanofoni; la crisi e la pigrizia da bollettino meteo sembra aver relegato a valle gli italiani. Sono il primo di cordata ma, giunti alla prima salita, decidiamo di capovolgere il trio: il mio passo più ridotto è comunque troppo lungo per Audrey, che sta faticando. Così sarà lei a dare il passo fino all’erto pendio, l’unico abbastanza ripido, immediatamente precedente la Sella dei Breithorn a quota 4081; una salita dura per la nostra amica, che se la guadagna con fatica e pazienza, stringendo i denti senza darsi per vinta. E’ questo dettaglio, se mai fosse stato necessario, che mi fa apprezzare ancora di più la sua presenza: è facile salire quassù stando bene, sentendosi in piena forma e potendosi dunque permettere passatempi da gentiluomo come la fotografia, la caccia ai dettagli più minuti delle vette lontane, la conversazione con Giorgio. E’ meno facile salire quando si soffre e si procede a marcia ridotta, drenando risorse e volontà da ogni cellula, da ogni neurone del proprio corpo. Audrey è una vera montagnina, non molla per nessun motivo al mondo e raggiungiamo felicemente l’immensa sella candida, sospesa tra la pinna artistica del Breithorn Centrale e la salita in cresta del gemello occidentale.

Pochi minuti e con calma, dandole tempo di riprendere fiato e concedendomi di fotografare mezza Confederazione, risaliamo la bellissima e breve parentesi ricurva fino alle cornici sommitali del Centrale, a quota 4160. Sono le 11.15. Pura poesia: una sorta di flessuosa onda bianca cristallizzatasi nel vento, ampie cornici sottili aggettate sul vuoto a nord, il solco gentile della traccia che si inerpica fin lassù dalla sella. Mi volto a sud, in basso, e lo sguardo cade su un punto molto preciso: il palazzo di Champoluc in cui non ho trascorso l’estate per la prima volta nei miei 31 anni, il mio balcone, il cortile, l’Evançon, il Frachey, la mia amata Ayas. Ero salito per l’ultima volta nel 2012 su questo monte, perfettamente visibile dal nostro appartamento di Champoluc, e due persone care mi avevano guardato da quel balcone antistante le funivie; ora le ho perse entrambe, in poco tempo, e sono rimasto da solo. E’ strano sentirsi tristi, in un posto simile, in cui so bene che il 90% dei miei compatrioti (e coetanei) non arriverà mai.

Il meteo peggiora, Audrey pare riprendersi, ma sono preoccupato per lei. Propongo di scendere a valle, poiché tutti abbiamo già salito mille volte il gettonatissimo Occidentale che, del resto, pare gremito di cordate; tuttavia la seduta parlamentare nel primo nevischio si risolve con un voto di maggioranza, la mia mozione non viene accolta ed eccomi, da primo, riprendere la salita inerpicandomi verso il Breithorn Occidentale. Questa cima non è molto più alta del Centrale, anzi; ma rispetto alla Sella sono quasi cento metri di quota in più, e questo richiede almeno un quarto d’ora. Inizialmente ampia e triangolare, la crestina si rarefà poco alla volta, arcuandosi piacevolmente pur senza la grazia brutale della cresta occidentale della Punta Parrot; si restringe e proprio in quel punto incrociamo una cordata di tedeschi, o svizzeri tedeschi, il cui primo mi suggerisce in inglese di levarmi di mezzo. Ribatto con cortesia che preferisco non far spostare la mia amica, senza muovermi, e la cordata passa lentamente in un fruscio di corde e vesti tecniche; gli altri tre alpinisti salutano urbanamente, non avendo sentito nulla. Dopotutto noi stiamo salendo, loro scendono, la precedenza è chiara: un minimo di cavalleria.

Manca poco a mezzogiorno, il meteo sta cambiando rapidamente. Vediamo ancora tutte le cime principali, ma i Lyskamm stanno sparendo nella bruma, così come il Cervino; strati grigio scuri di nubi basse celano Zermatt, il vento rinforza e porta nevischio pungente sulla cima affollata dell’Occidentale. Ho un ricordo di me stesso, intento buffamente a soffiare nei guanti di Giorgio per riscaldare le mani di Audrey; un abbraccio collettivo per le foto di rito, mentre la vetta del Centrale, appena lasciata, appare e scompare nella nebbia sottile come in un incubo gotico. Non indugiamo oltre e scendiamo rapidamente, la traccia curva come ogni anno; sono il primo e, tenendo un buon ritmo, esco spesso di traccia sull’ampio pendio inclinato per cedere il passo alle cordate in salita.

Ormai si vede solamente il grande spazio bianco del plateau, e tuttavia la lunga traccia è nera di puntini: centinaia di persone ancora intente a salire, malgrado l’ora tardissima e certo non alpinistica, malgrado il meteo nibelungico.

La giornata si conclude nella cupa atmosfera cementizia del Plateau Rosa, mentre aspetto Giorgio e Audrey su una provvidenziale panchina insieme ai nostri zaini, alle picche e al materiale. Una famiglia di turisti del Golfo, le donne prive di velo ma assurdamente provviste di sneakers basse, saltella sulla neve sporca innanzi all’uscita della funivia scattando foto con gli iPhone. Il posto mi ricorda come sempre il pianeta gelato di Hoth, nel vecchio film The Empire Strikes Back, con le due pinne gemelle della funivia; guardo i rumorosi kuwaitiani, o qatariani, intenti a immortalare felici i gatti delle nevi. In fondo siamo a Cervinia e certamente si sentiranno più a loro agio del sottoscritto, in questo contesto antropizzatissimo. Però mi dispiace vedere le montagne così sottomesse, addomesticate a uso e consumo della folla gaudente; anni prima avevo sentito in questo stesso punto delle eleganti sciure milanesi protestare stizzite contro il freddo, certo inammissibile nel loro curato parco giochi.

Una salita classica e semplice, alpinisticamente tranquilla e fattibile in poche ore, che offre soprattutto ottimi spunti fotografici e che va tuttavia effettuata in giorni di scarsa affluenza. Qualcosa di bello, da condividere con pochi amici cari, cercando di focalizzarsi sul lato splendido e puro dell’esperienza - la montagna, i ghiacciai, lo spazio, la luce, i gracchi sempre in coppia - tralasciandone le mille contraddizioni, dal tizio in salita senza picca né bastone alle mille cordate in ascesa ben oltre le 13.00, i rifiuti lungo le piste da sci, le dimensioni dei palazzi nella conca del Breuil, gli scavi e le sterrate ai piedi della mia amata Gran Sometta. In questo strano agosto di transizione tra un’epoca serena e un futuro tutto da costruire, per me, i due Breithorn sono stati un regalo gradito.

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