Verrès

 

Collocata alla confluenza del torrente Evançon con la Dora, tra i paesi di Arnad, Issogne e Champdepraz, la cittadina di Verrès si pone come primo e maggiore centro della bassa Val d’Ayas e della sua zona inferiore, la cosiddetta Valle di Challand. Si trova a 390 metri di quota ed a circa quaranta chilometri dal capoluogo valdostano, collegata al Piemonte ed al resto dalla Regione Autonoma dall’autostrada A5 e dalla statale 26 proveniente da Ivrea, nonché dalla linea ferroviaria che sale da Chivasso. Parte di Verrès risulta quasi arroccata sulle ultime, rocciose propaggini delle alte vette che inquadrano il solco dell’Evançon, tra cui spicca, ben evidente, il Mont Conge con la bianca Croix de Saint Gilles; proprio le acque dell’Evançon hanno modellato i profondi intagli e gli orridi in seguito vegliati dal maniero degli Challant. Appena più oltre il boscoso Monte di Saint Gilles sembra richiamare, per forma e preminenza, la sagoma arrotondata e parimenti boscosa del Mont de Carogne, sull’altra sponda del torrente. Verrès, in sintesi, pare mediare tra l’aspra verticalità avara di spazio dell’ultimo tratto della Valle di Challand, con i suoi caratteristici paesini e le strade dai mille tornanti, e l’ampia distesa prativa creata dalla Dora nella sua corsa verso la piana piemontese; intermediari tra pianura e balze rocciose sono il castello di Verrès e l’antichissima Collegiata di Saint Gilles, da tempo immemore guardiani dell’ingresso della Val d’Ayas

In anni ben più recenti, infine, Verrès ha visto la creazione di un importante Polo Tecnologico, in collaborazione con il Politecnico di Torino, attualmente sede de ISITIP e di due cdl in Ingegneria. Per maggiori informazioni, si consiglia di visitare il sito Internet http://www.verres.polito.it/.

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Verrès. La storia

Da giugno 2010, ulteriori spunti di analisi inerenti al passato di Verrès sono offerti dalle fonti testamentarie medievali recensite da Varasc.it, nonché dalla sezione Il primo turismo. Gli albori della tradizione alberghiera della Val d'Ayas attraverso le veline editoriali, inaugurata a fine novembre 2011.

La storia di questa cittadina è densa ed affascinante, come illustrato nel sunto archeologico della Val d'Ayas realizzato da Varasc.it nel maggio 2010. Si tratta di un vivace ed antichissimo emblema delle vicissitudini valdostane dalla più remota antichità ai nostri giorni; tuttora le ossa di pietra di questa entità sociale, architettonica, politica e religiosa raccontano la millenaria sedimentazione di centinaia di migliaia di passaggi, di commerci e fatti d’arme, di periodi di pace e di belligeranza, di epidemie e di processioni sacre. L'irraggiungibile penna di Jules Brocherel, nell'opera Le Val d'Aoste del 1951, ne descrisse in poche righe le vicissitudini storiche: (...) Verrès remonte à la plus haute antiquité. (...) Centre névralgique de la vie économique d'un vaste canton, d'Arnad à Montjovet, et pôle d'attraction  de toute la vallée de Challant- Ayas, Verrès est maintenant un centre industriel d'une certaine importance. Nel volume Le antichità di Aosta. Augusta Praetoria Salassorum, l'architetto torinese Carlo Promis (1808-1873) descrisse in questo modo Verrès: (...) a Verrez, l'antica Vitricium, detta Verecium sin dal mille e Verrez dal 1124, mentovata nell'itinerario d'Antonino e nella Tavola Peutingeriana come stante a ventun miglia romane sopra Ivrea. Qualche antico avanzo si è ritrovato in questo bello ed importante borgo, ma gli dà fama sopratutto l'antica prepositura di S. Eligio e l'imponente castello quadrato erettovi nel 1380 da Ibletto di Challant, ricco di immensi cammini e di una magnifica scala circuente il cortile, ma che pure in uno coi tanti e tanti castelli di val d'Aosta fra pochi lustri forse non sarà più.

Secondo l'opera del canonico Vescoz Phénomènes atmosphériques, nel 1846 Verrès fu colpita da inondazioni estese all'intera Valle d'Aosta, che piegarono in particolare i comuni di Nus, Pontboset, Champorcher, Issogne e Champdepraz. Verrès. - Cette commune déplore la destruction du canal qui fournissait l'eau au quartier de la place du bourg et les inondations qui ont ravagé de belles campagnes situées, les unes, du côté de Turille et, les autres du côté d'Arnaz.

Nel 1846 ci furono invece le Trois funestes journées d'ctobre, secondo un contributo firmato da Laurent Pléoz, employé de l'Intendance. La Doire et l'Evançon ont entraîné les barrières des moulins, inondé la plaine de Torille, démembré une partie de ses plus belles propriétés, détruit les récoltes et endommagé l'établissement métallurgique de M. l'Avocat Bich.

Nel 1860, anche Edouard Aubert descrisse Verrès nella sua opera La Vallée d'Aoste, uno dei più pregiati volumi mai dedicati alla Valle. À Verrès, où j'arrivrai bientôt après, la vallée est large, les montagnes sont assez éloignées pour laisser entre elles un vaste espace que le soleil inonde de ses rayons: cependant cette plaine spacieuse, occupée par des cultures variées, ou couverte de gras pâturages dont l'uniformité est rompue par de nombreux bouquets d'arbres, cette plaine où tout annonce la richesse, et qui devrait n'inspirer que des pensées joyeuses, est empreinte d'une attristante monotonie. Je crois qu'il faut chercher dans la configuration de la vallée en cet endroit la cause du sentiment que fait naitre la vue de ce paysage, néanmoins admirable. (...) Verrès, désigné dans les anciens itinéraires sous le nom de Victricium, est, de nos jours, le chef-lieu d'un mandement important; c'est aussi une jolie ville, bien bâtie, pleine de mouvement et d'activité. (...) en face de moi s'ouvrant la vallée de Challand dont il m'était impossible de mesurer l'étendue, parce qu'elle change de direction à quatre ou cinq cents mètres de son débouché et remonte vers le nord. Enfin, à droite, sur un promontoire de rochers aux contours déchirés, s'élevaient vers le ciel les ruines grandioses d'un château qui a appartenu à la puissante Maison de Challand. 

Prima ancora della presenza umana, l’ultima e possente glaciazione - oggi definita wurmiana e cronologicamente compresa da 75.000 a 10.000 anni or sono - ricopriva la zona di Verrès con un poderoso spessore glaciale di circa 1600 metri, creato dalla confluenza e dallo scontro immane tra il Ghiacciaio dell’Evançon ed il ben più vasto Ghiacciaio Balteo, di cui il primo era tributario. Se una vera storiografia, basata su fonti attendibili, ha inizio solo con l’espansione romana, è tuttavia noto che Verrès ospitò in precedenza un abitato – probabilmente, uno snodo commerciale – del popolo salasso, come testimoniato da ritrovamenti monetari citati da Renato Willien nelle sue opere. L’abate Louis Bonin, uno dei primi cantori della Val d’Ayas, descrisse semplicemente l’antica Verrès: (…) C’était l’étape forcée des légions romaines qui se dirigeaient vers la Gaule et, plus tard, des troupes de toute nationalité qui longèrent la Vallée d’Aoste. Effettivamente, il toponimo attuale deriva dal termine romano Vitricium, da vitrum – vetro, cristallo, il che ipotizzerebbe forse un qualche tipo di produzione vetraria; tale definizione risale alla Table de Peutinger o Tavola Peutingeriana, risalente al III secolo, come ricordato da Andrea Zanotto nella sua eccellente Histoire de la Vallée d'Aoste. Altra fonte antica inerente a Verrès è l’Itinerario Antonino; Renato Willien fa risalire invece il toponimo al termine Vicus, ovvero piccolo borgo, villaggio. Sue forme, nel corso dei secoli, furono anche Verretio, Verectio, Verrecio, Vitricio, oltre a Verrecium, segnalata da Jules Brocherel nel 1951. Vengono tuttavia segnalati a Varasc.it anche i termini celtici Ver e Gar, entrambi afferenti a grandi ammassi rocciosi. Del resto, Verrès non nacque certo con la conquista romana della Valle d’Aosta, realizzata nell’ambito di una politica estera ben più ampia e rivolta ai territori d’Oltralpe; l’abitato romano si collocò tuttavia nell’ambito delle piccole e sempre più prosperose stationes edificate lungo la Via delle Gallie, sopravvissute ai bui secoli successivi al crollo dell’Impero e tornate in auge – come centri del potere feudale, debitamente fortificati ed accuratamente contesi tra dinastie e signorie vescovili – nell’epoca medievale.

Tra l’XI ed il XII secolo d.C. Verrès fu possedimento del vescovado aostano, fino al 1360; influenti in questo territorio erano le antiche famiglie dei De Verretio, De Turrilia e De Arnado, oltre ai Friour ed agli Alexini. Le vicende di Verrès furono quindi legate alle vicissitudini della signoria di Challant, la cui epopea ebbe inizio nell’aprile del 1206 con l’infeudazione di Bosone I del castello di Villa- Challand; tra il 1360 ed il 1370 l’ambizioso e capace Ibleto, nipote di Ebalo Magno di Challant, balivo della Val di Susa e Capitano Generale di Piemonte, estese il suo dominio ai territori di Issogne e di Verrès. Del resto, alcuni terreni presso Torille erano già in mano agli Challant sin dal 1351, dopo la morte degli ultimi esponenti dell’antica casata dei signori de Verretio, Pietro e Teobaldo; i due nobiluomini cedettero al loro parente Ibleto i rispettivi possedimenti, scomparendo senza eredi. Questa linea nobiliare discendeva dalla famiglia aostana di Porta Sant’Orso e dai signori di Quart, feudataria dei Savoia; si era distinta, in precedenza, per violenti contrasti con il vescovo di Issogne, culminati nel 1333 con un attacco armato che distrusse la sede vescovile di Issogne, in corso di fortificazione, e della sua torre, con la morte per tortura di un milite ed il ferimento di svariati altri uomini del vescovo.

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Alla morte del grande Ibleto, sopravvenuta nel 1409, il figlio Francesco – in precedenza uomo di chiesa, ma dispensato dai suoi voti dopo la morte del fratello Amedeo, nel 1383 – divenne signore di Verrès e di Issogne, oltre che del castello di Villa-Challand, Chenal, Montjovet e Saint Vincent. Morendo a sua volta nel 1442, senza altra colpa che la mancanza di un erede maschio, Francesco condannò la Val d’Ayas e le terre limitrofe ad un lungo periodo di tensione e guerra. Tutto ciò fu causato dalla fiera resistenza opposta dalla figlia Caterina e dal consorte, suo cugino Pietro Sarriod de la Tour d’Introd, dottore in legge e balivo della Valle d’Aosta, vassallo e luogotenente del defunto Francesco di Challant. Loro avversari furono Giacomo di Challant- Aymavilles e Bonifacio II di Fénis; l’ultimo atto di questa cruenta campagna per la successione, recentemente narrata nell’articolo In lotta per il Paradiso – Bataille pour le Paradis, vide il ferimento in battaglia di Pietro, accorso al disperato grido d’aiuto della consorte, e la sua successiva morte presso la Collegiata di Saint Gilles. La resistenza di Caterina cessò nel 1456 con la vittoria dell’Aymavilles. 

Nel secondo tomo dell’opera Theatrum statuum regiae celsitudinis sabaudiae ducis, pubblicata nel 1682 ad Amsterdam, venne così citata l’attuale Verrès: Quasi a metà strada fra Ivrea e Aosta si incontra l’antica e famosa città di Verres che, al tempo stesso, è fortezza assai considerevole. L’hanno chiamata “Vitricium” in latino ed ora è conosciuta con il nome di Verrez: Antonino ne fa menzione parlando della strada che conduce da Milano a Vienne e a Strasburgo attraverso le Alpi Graie o a Magonza passando per quelle Pennine. Non solo: proprio il Theatrum sabaudiae ci mostra una prima raffigurazione del maniero, una incisione virtualmente ritratta dalle alture soprastanti Montjovet che mostra la confluenza della Dora e dell’Evançon, una strada, qualche podere ed il possente Varesii Castrum. L’antico autore, citato da Augusta Vittoria Cerutti, si preoccupò anche di precisare: (…) Le case sono generalmente belle e comode ma non ve ne sono più di centocinquanta. Una descrizione che concorda con lo spopolamento e le difficili condizioni di vita ricostruite dagli storici per quegli anni di grandi epidemie e di mutamenti climatici, in particolare della cosiddetta “piccola età glaciale” verificatasi nel tardo secolo XVI. Ad ogni modo, il grande storico Jean- Baptiste De Tillier (1678- 1744) descrisse così la zona di Verrès: La seigneurie de Verrès, dépendante du même comté de Challant, à une des plus belles bourgades du pais, située dans une pleine des plus ouvertes et spacieuses de toutte la vallée apres la citté, et sur la grande route entre Bard et Montjovet (qui iouit du droit de foire franche faisable le 6 novembre de chaque année). Sa place est presque toutte environnée de batiments a la moderne qui l’embellissent. On monte insensiblement, par une marche ou soit rampe d’environ trente a quarante pas, a son église qui est sur une petitte eminance, tout joignant les maisons du bourg, dependante de la prevosté de Saint- Giles de Verrex qui luy est unie. 

Verrès venne citata per la prima volta dalla cartografia nel 1556, grazie a Gilles Bouillon, con il toponimo di Verra; da Gastaldi, nel 1556, come Verezo; dal De L’Isle, nel 1707, che parlò del Fort de Verex e, al contempo, di St. Egide. Secoli più tardi, la famigerata Ordinanza 1442 del 22 luglio 1939 avrebbe infine ridimensionato il toponimo di Verrès in Castel Verres, unificandone anche il territorio comunale con quello di Arnad. La discesa francese del 1799 liberò Issogne e Verrès dall’ormai declinante dominio feudale, mentre nel 1848 Verrès venne nominata capoluogo, al vertice di nove entità comunali; nel 1861 divenne sede del Parlamento subalpino. Nel 1887 venne varato il progetto dell’attuale strada che risale la Val d’Ayas, giunta nel 1894 a Champoluc. Nel 1914 fu inaugurata una centrale idroelettrica da 1500 Kw., mentre nel 1928 L’abate Bonin calcolò in 1617 anime la popolazione verrezziese; la cittadina disponeva anche di farmacia e servizio sanitario, di ufficio postale e telegrafico. Erano elencati tre alberghi: l’Hotel Eden, di proprietà Burzio, l’Hotel d’Italie, proprietà Ceretto, l’Hotel des Amis, proprietà Bonin, oltre al Café Gioanetto. 

Ancora oggi, dal 1946, Verrès è teatro di uno dei più importanti e sentiti carnevali storici della Regione aostana, che per ben tre giorni rivive – con magnifici costumi e balli in maschera – la leggendaria sfida lanciata dall’orgogliosa Caterina di Challant ai suoi avidi avversari. Nel 1449, Caterina e Pietro scesero nel borgo di Verrès, danzando con la folla festante che li accolse al grido di Vive Introd, et Madame de Challant! 

Verrès. Vestigia storiche 

Ce Château est un témoin éloquent de la puissance des Challands

 Abate Louis Bonin, 1928

Il n'à pas son pareil en Europe

 Jules Brocherel, 1951

Ricca è la bibliografia dedicata all’imponente castello di Verrès, un solido cubo arroccato su una erta sporgenza rocciosa che domina l’ultimo tratto della Valle di Challand e la sottostante piana della Dora; ne scrissero addirittura le pagine del romanzo Montagnes Valdôtaines di Giuseppe Mazzotti, Il castello è piantato su di un grande scoglio all'imbocco della valle: un grosso cubo di pietra grigia, circondato da mura a picco sul torrente. Vi sale una ripida strada selciata a lastroni, che termina al ponte levatoio. Al tempo di questa storia il ponte levatoio non c'era...

Sontuosa è anche la ricostruzione dedicata al maniero da Francesco Corni ne "Segni di pietra. Torri, castelli, manieri e residenze della Valle d’Aosta". La pianta esterna ed interna è quadrata. Le sue mura constano di uno spessore di 2.50 metri, armate di caditoie lungo tutto il profilo esterno e tetto a compluvio, per incanalare l’acqua piovana verso il serbatoio centrale; impressionante la sagoma, al punto che nel Settecento il De Tillier scrisse, ammirato, Il ne cede gueres à ceux tant vantés de cette ancienne et puissante nation, riferendosi addirittura all’epoca imperiale romana. Tre grandi bifore di tipologia trecentesca si aprono ancora nel secondo livello di ogni facciata, ingentilite da archetti ed archivolti ogivali; all’interno si nota l’ammirevole scalinata, sostenuta a sua volta da archi policentrici. Ne scrisse l’Aubert: Hors de Rome on ne peut trouver un escalier aussi beau que celui qu’on voit dans ce château. Sempre all’interno, al primo piano, si notano archivolti e stipiti sapientemente scolpiti in archi moreschi spagnoleggianti e trilobati. Anche Eugenio Fasana, nel 1931, ricordò il maniero nelle pagine de "Il Monte Rosa. Vicende uomini e imprese", affermando: (...) Così il Castello o Rocca di Verrès, in cima alla rupe che sbarra la Valle di Ayas, attesta la passata potenza dei Signori di Challant col suo magnifico esemplare di architettura medioevale, a quello stesso modo che il maniero, sorgente quasi intatto nella quiete di Issogne, ne ricorda l'antico splendore. 

L’ingresso avviene in un passaggio ben custodito tra le poderose “zampe” del maniero verrezziese, al termine di una bella strada lastricata in ciottoli che curva nel querceto, costantemente a tiro delle antiche artiglierie del castello. Originariamente era disponibile una massiccia saracinesca ad argano; ancora oggi l’ambiente d’ingresso è manifestamente basato su canoni militari, obbligando a compiere una svolta in uno spazio ristretto – per impedire l’uso di arieti -, munito di cinque feritorie, con un indicativo foro nel soffitto (!). Si tratta di una caditoia posta a guardia dell’androne. Forse non ne esiste uno, in tutta Europa, che gli assomigli. Del resto, si sa che appartenne – e appartiene – al rango dei più nobili castelli d’ogni tempo, scrisse Renato Willien; nel Secolo dei Lumi lo anticipò il De Tillier, commentando (…) l’on peut dire sans exageration que c’est un des plus solides et plus fameux batiments qu’un vassal ait pu faire construire dans le domaine d’un prince souverain où celluy- cy tient le rang d’un des plus renommés. La visita al castello è oltremodo interessante, nonostante il divieto di scattare fotografie all’interno; particolarmente suggestiva è la salita alle lunghe caditoie, estese per l’intera lunghezza di trenta metri di ogni facciata. Il pianterreno, che oggi ospita all’esterno del corpo principale il piccolo ufficio adibito a biglietteria, una fontanella ed i servizi, consta di due vaste stanze adibite a sala d’armi ed a salone di rappresentanza, caratterizzate da una grande capacità e disposte ad est e ad ovest; la sala orientale dispone di volta a botte, mentre la sala d’armi occidentale è a sesto acuto, con due massicci camini ancora visibili. Vi era anche una prima cucina sul lato meridionale, destinata al corpo di guardia, mentre una seconda cucina si trovava al primo piano, insieme alla bella sala da pranzo ed agli appartamenti privati dei signori di Challant; la citata sala da pranzo signorile fruiva di un passavivande collegato alla cucina riservata ai nobili, per una maggiore versatilità. Questo piano, nel 1983, ospitò una mostra permanente. La cucina signorile disponeva di tre camini per la cottura delle vivande, tra cui spicca quello sul lato settentrionale, ed è sovrastata da una bella volta a vele multiple che risale al periodo di Renato di Challant. Il secondo piano invece ospita locali di servizio e collegamenti alle caditoie, sostenute da numerosi beccatelli e provviste di adeguate saettiere; tali caditoie creano un camminamento continuo ed ininterrotto, completamente protetto, per il corpo di guardia. E’ ben evidente come questo maniero si ponga ben più a ridosso delle sontuose residente fortificate rinascimentali, piuttosto che ad antichi castelli come il maniero di Graines o quello atavico di Villa - Challand, la culla della dinastia. Il materiale principale varia dalla pietra bianca a quella verde, utilizzate anche come elementi decorativi. 

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Una prima struttura fortificata venne realizzata più anticamente, di certo presente dal 1287, dai signori De Verretio; in quell’anno Roleto de Verretio lo citò in calce al proprio omaggio feudale. I Savoia acquistarono parte della signoria di Verrès dagli Alexini nel biennio 1335 – 1337, concedendola in seguito ad Ibleto, che acquisì in questo modo l’intero feudo. Ibleto di Challant, a partire dal 1372, non si limitò ad ammodernare tale struttura preesistente. Egli la demolì e ricostruì in modo sapiente, ingrandendola e varando un ambizioso progetto destinato a creare il primo esempio di castello monoblocco valdostano, che Edouard Aubert non esitò a definire come il migliore e più riuscito monumento dell’età feudale valdostana. Il grande Ibleto non volle accontentarsi di un semplice maniero basato sui canoni antichi, e magari semplicemente ampliato: forte del suo prestigio presso la corte sabauda, creò qualcosa di assolutamente unico e nuovo. Al primo piano è ancora visibile, nelle parole da lui prescelte, questa ambiziosa intenzione: MCCCLXXXX Magnific(us) D(omi)nus Eball(us) D(omi)nus Challandi Montioveti, etc. edificare fecit hoc castrum viventibus egregiis viris Francisco de Challand D(omi)nus de Bossonens et Castellionis et Joh(ann)e de Challand D(omi)no de Cossona ei(us) filiis. I lavori, ricordati da questa incisione con la quale Ibleto consegnò all’immortalità anche i propri figli Giovanni e Francesco, terminarono intorno al 1390. 

Il maniero entrò in una dimensione prettamente rinascimentale con Renato di Challand, successivamente alle lotte che contrapposero Caterina a Giacomo di Challant- Aymavilles, come ricordato dall'abate Louis Bonin: (…) il fut construit en 1390 par Iblet de Challand, restauré et muni de bonnes fortifications au 16.me siècle, par le Comte René le Grand, comme l’attestent diverses inscriptions très visibles encore. Renato, scomparso nel 1565, si premurò di installare poderosi contrafforti esterni ed una massiccia antiporta, protetta da ponte levatoio; attualmente è ancora visibile, affiancata da una piccola, discreta ed espostissima passerella, sulla sinistra del ponte. Il castello conobbe così un’evoluzione architettonica e difensiva, da massiccio “cubo” a vero e proprio fortilizio, difeso da bastioni e mura perimetrali esterne al corpo principale. Tali lavori sono tuttora ricordati dall’incisione del 1536 presente sopra l’ingresso, che ricorda Renato e la sua seconda consorte, la nobile portoghese Mencia di Braganza, con i due stemmi nobiliari a lato. Sommariamente tradotta, tale incisione recita: Nell’anno di Cristo 1536, l’illustre Conte di Challant Renato, Barone di Beauffremont, di Virieu le Grand, di Aymavilles e di Coligny, Signore di Châtillon, di Saint Marcel, di Issogne e di Valangin, di Montalto Dora, di Graines, di Verrès e di Ussel, cavaliere dell’Ordine dell’Annunziata e maresciallo di Savoia, abbellì questa fortezza edificata da Ebalo di Challant e ne provviste l’esterno di estensioni offensive.

Renato di Challant, ben conscio della situazione politica dell’epoca e degli avanzati processi della poliorcetica, delle tecniche di mina ai danni delle mura, non esitò ad incrementare l’armamento offensivo del proprio maniero con le prime armi da fuoco. Egli ricorse ad un capitano spagnolo, Pietro de Valle, che richiese l’adozione di cannoniere e torri poligonali sui bastioni esterni: tali strutture dovevano accogliere le armi da fuoco – cannoni e spingarde – provenienti dalla località elvetica di Valangin, feudo degli Challant. La struttura aveva vocazione prettamente militare; Isabella, figlia di Renato, ordinò alla morte del padre un inventario del mobilio e delle suppellettili, scoprendo che – come ricorda l’eccellente opera di Carlo Passerin d’Entrèves – il maniero conteneva solamente armi, munizioni, provviste, vasi e strumenti da cucina. Particolare curioso, un antico strumento di tortura di provenienza germanica – di cui si avvalse il Willien, nella sua opera in francese, per polemizzare contro les bourreaux nazis) – definito un collier de fer fait en Allemagne avec pointes dedans pour tormenter un homme au col. Dopo il 1565 i Savoia ripresero il controllo dello strategico castello, abbandonato nel 1661 per volere di Carlo Emanuele II, in favore della ben più munita Bard; anche le armi offensive del maniero vennero portate in questa seconda fortezza. Nel 1656, il capitano Carlo Morello lo visitò e ne scrisse solamente: Il castello di Verresio non è che una gran Torre di pietra tagliata. 

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Il maniero di Verrès. Dalla rovina al salvataggio di Alfredo D'Andrade

Dopo 130 anni di dibattimenti legali, Francesco Girolamo di Châtillon riacquistò la proprietà del maniero costruito da Ibleto, nel 1696. La casa si estinse nel 1802, quando questa stupefacente opera di ingegno e tecnologia militare era ormai in rovina, priva del tetto (incredibilmente abbattuto per sfuggire all’erario) ed invasa da calcinacci e vegetazione spontanea; fino al 1858, il maniero appartenne ai Passerin d’Entrèves. Fu l’architetto Alfredo d’Andrade, direttore della Regia Delegazione per la conservazione dei monumenti del Piemonte e della Liguria nel 1888, a salvare materialmente il castello di Verrès,  restaurato fino agli anni Venti del Novecento. L'eccellente opera della dottoressa Carolina Filippini ricorda queste travagliate vicissitudini: fu il grande portoghese Alfredo Cesare Reis Freire D'Andrade a raccomandarne nel 1894 l'acquisto da parte dello Stato, dopo averlo visitato dapprima nel 1865, all'epoca del suo primo viaggio in Valle d'Aosta. Nel 1872 D'Andrade aveva effettuato alcuni lavori sul maniero per volontà della proprietaria, contessa Paolina Crotti di Costigliole; nel 1888 l'instancabile operatore votato alla salvaguardia della storia e dell'architettura valdostana scrisse nuovamente al Ministero della Pubblica Istruzione, lamentandone le deprecabili condizioni. Nel 1891 il maniero in rovina venne posto in vendita presso il Tribunale di Aosta, venendo infine acquisito dall'Ispettore dell'Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti, Ottavio Germano. Concluse, nel 2007, la dottoressa Filippini: (...) Non fa che confermare la metodologia operativa di D'Andrade e la sua riuscita, tanto che da allora il castello non ha più avuto bisogno di alcun restauro, ma semplicemente di lavori di manutenzione. 

Secondo Edouard Aubert (1860), Du moment où, de loin, l'avais aperçu les ruines du château de Verrès, je ne pensai plus qu'à les visiter; la magnificence de ces débris est trop frappante pour ne pas inspirer le désir de les voir de plus près et de les étudier avec une consciencieuse attention. C'est, à mon avis, le plus beau monument que la féodalité ait laissé dans la vallée d'Aoste, où il existe pourtant un si grand nombre de constructions appartenant à cette époque. (...) La seigneurie de Verrès était anciennement soumise à la juridiction de trois familles nobles nommées de Verrès, Alexini et de Turille. Thibaut de Verrès étant mort vers 1370 sans laisser aucun enfant, son fief revint à la Maison de Savoie; un peu plus tard, les droits de la famille Alexini furent acquis par le comte Amé VII, dit le rouge, qui, joignant ces deux domaines aux biens de la Maison de Turille, achétes précédemment par les sires de Challand, en composa un seul fief dont il donna l'investiture à Ébal le jeune, seigneur de Challand. Ce dernier fit construire le château que je viens de décrire, en l'année 1390, ainsi que le constate l'inscription gravée au-dessus de la porte située dans l'escalier. Il dotto visitatore descrisse poi il maniero, notando come la gente locale lo definisse, impropriamente, la tour de Verrès. (...) Un sentier tracé sur le flanc méridional du rocher conduit au pied des fortifications extérieures qui se composent d'une ceinture de murailles épaisses, percées d'embrasures et de meurtrières. Les faces de ce rempart sont flanquées, de distance en distance, par des tours qui ne dépassent pas la hauteur des murs, mais dont la saillie permettait de repousser les attaques dirigées contre les courtines et rendait ainsi l'escalade plus difficile. Aubert fu particolarmente colpito dal grande corpo centrale del castello. (...) Un donjon carré de trente mètres de côté, et dont la hauteur est seulement égale à la largeur, mérite vraiment une dénomination particulière, ironizzò, tornando sulla riduttiva definizione verrezziese del possente maniero. Particolarmente umana e toccante è la sua riflessione, descritta mentre l'Autore varcava la postierla che ancora oggi accoglie i visitatori del castello di Verrès, sulla caducità della fama innanzi al fluire costante del tempo.

In seguito al secondo olocausto mondiale il castello venne ceduto alla Regione aostana, che negli anni Ottanta si premurò di ripristinare le belle lose in pietra del tetto. Ulteriori restauri hanno avuto inizio nel 1994. Ne scrisse ancora nel 1975 il Willien, nella bella opera Valle d'Aosta: (...) Verrès, invece, non suscita incertezze: esso è sempre e soltanto un maniero antico, internamente ed esternamente: una rocca per la guerra e non per i morbidi e capziosi indugi del fondovalle. Poco più di vent'anni prima lo precedette Jules Brocherel, che affermò: (...) malgré les outrages du temps et le vandalisme des hommes, il est resté debout en entier, et presque intact, pour attester la fastueuse magnificence de la puissante famille des Challant, astre de première grandeur dans le firmament de la noblesse valdôtaine.

 

Il passaggio segreto del maniero di Verrès. Mitologia, leggenda, verità? 

Varie sono infine le fonti che accennano ad un passaggio segreto che avrebbe permesso i rifornimenti alla rocca in caso di assedio. In particolare, tale passaggio sarebbe stato sfruttato dal celebre e coraggioso messaggero chiamato Gros- Pied, nella fatidica notte del 25 agosto 1456, che riuscì a portare a Pietro d’Introd il messaggio della sua sposa e delle figlie adottive, assediate da due compagnie piemontesi provviste di falconetti nel meno poderoso castello di Châtillon. Tracce concrete di questo passaggio non vennero mai rinvenute, ma il ricordo di questo mistero permane nelle pagine pubblicate a suo tempo da Giuseppe Mazzotti, dedicate ad Amilcare Crétier. L’impetuoso guerriero della Torre d’Introd non esitò a caricare il nemico, venendo ferito a morte da un colpo di alabarda poco oltre Torille. Il castello ospitava, sin dalle proprie remote origini precedenti ad Ibleto di Challant, una cappella interna dedicata a Santo Stefano, che Aimone di Verrès, il 14 luglio del 1349, prescelse per un beneficio in favore della comunità di Sant’Egidio, in cambio di quattro anniversari annui. 

Ad ogni modo, dal piccolo agglomerato di case ai piedi del castello, in prossimità di una vasca per l’acqua, diparte la bella mulattiera lastricata che, passando per il caratteristico paesino di La Barmaz, sale in 25 minuti circa fino alla bella cappella di Rovarey.

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La Collegiata di Saint Gilles   

I Challand avevano fondato giù nel paese il convento di Saint Gilles, ormai vecchio più di mill'anni, simile anch'esso ad un castello, con la sua forte torre dall'orologio bianco e le alte finestre sulla cupa muraglia di pietra, scrisse il romanziere Giuseppe Mazzotti nel lontano 1951, ricordando Saint Gilles. Convento, monastero rupestre, piccola fortezza? Molte sono le suggestioni evocate dall’antichissima struttura religiosa arroccata al disopra della cittadina di Verrès, ormai da tempo dissacrata dal rumoroso passaggio della SR45, ma ancora intenta nel proprio silenzioso dialogo con il vicino maniero degli Challant. Così ne parlò nel 1975 il Willien, nell'opera Valle d'Aosta: (...) il fabbricato della Collegiata di S. Gillio (sec. XVI), che ha conservato intatta la bellezza e la rudezza delle costruzioni dell'epoca, fatte di pietra non ricoperta da intonaco. Si tratta in effetti di un edificio spoglio ed austero cui si accede dalla piazzetta René de Challant, in severa pietra grigia, che rivolge verso i passanti le proprie nobili finestre a crociera, che rivestì grande importanza: secondo l'abate Louis Bonin, la Maison Mère de Verrès avait son Prévôt, revêtu du titre d’Abbé Régulier, non mitré, et elle brilla, comme un phare de science et de civilisation chrétienne, à travers les siècles tourmentés du moyen- âge et de la première partie des temps modernes. La storiografia concorda con l’opinione del dotto sacerdote, poiché questo monastero acquisì, complessivamente, una sessantina di possedimenti immobiliari nel territorio aostano, una dozzina presso Ivrea, sette nella lontana Savoia. Maurizio di Challant ed il fratello Aymo, Aimone, cedettero l’alpe Ayette del Breuil alla Chiesa di Sant’Egidio il 2 settembre del 1191, come ricorda monsignor Edoardo Brunod: (…) Alpen cum pasculo lai eccepta moleria et argenteria, ovvero, cessione di alpe e terreni, ma non dei mulini e delle prospicienti miniere di argento. 

I canonici di Saint Gilles vennero citati per la prima volta nell’anno 1050, anche se la tradizione vuole la creazione di questa collegiata nell’anno 912, per volere della consorte del Marchese di Ivrea Adalberto I, Egidia, figlia di Berengario I, imperatore d’Italia fino al 923. I primi monaci dipendevano dall’abbazia benedettina di San Benigno della Fruttuaria, e che il primo nucleo strutturale venne probabilmente promosso dai potenti marchesi del Monferrato, intorno al X secolo d.C. Nel 1182, l’abbazia di San Benigno trasferì a Saint Gilles di Verrès i propri possedimenti valdostani, ponendo le basi per la futura ricchezza ed importanza di questo sito religioso. Da una Bolla pontificia di Innocenzo III, risalente al 1207, si evince che il monastero seguiva la regola agostiniana. E’ altresì noto che Bosone I di Challant, il capostipite della dinastia, si preoccupò di restaurare il convento in seguito al proprio infeudamento del 1206; la difesa del prestigio nominale e materiale del sacro recinto transitò così dai signori di Monferrato alla casa sabauda, e da essa, agli Challant. Non ha dubbi in proposito l’erudito abate Louis Bonin, che nel 1928 scrisse: (…) La Collégiale millènaire des Chanoines Réguliers de Saint Augustin, supprimée en 1885, avait été fondée, vers la moitié du IX siècle, par les Marquis du Monferrat et reconstruite en 1500 par Charles de Challand. Parte della Prevostura venne ricostruita a fine Quattrocento, come testimoniato da un atto del Capitolo di Verrès, redatto In aula nova prepositure e risalente al 4 marzo del 1452. A quest’epoca risale il caratteristico portale d’ingresso, fiancheggiato da due colonne in pietra che, in alto, si attorcigliano incrociandosi, mentre la porta è profondamente incassata; la scalinata sottostante è invece opera del Prevosto Jean-Joseph Bono (1847-1915), e data la fine del XIX secolo. 

Nel 1860, Edouard Aubert descrisse anche il vicino couvent de Saint-Gilles de Verrès: (...) fut fondé vers l'an 985 par les marquis de Montferrat de la première race. Au dire de certains chroniqueurs, ils y établirent des chanoines réguliers vivant en communauté sous la règle de Saint-Augustin. Il est plus naturel de croire que les premiers religieux appelés à desservir le nouveau couvent appartenaient à l'ordre de Saint-Benoit, dont la règle était alors suivie dans la célèbre abbaye de Fructuaire en Canaveys, et aussi dans le prieuré de Chambave près d'Aoste, bénéfice dépendant de cette grande communauté. (...) Au commencement du XVeme siècle, par suite d'une réforme, les prévôts réguliers furent transformés en prévôts commendataires, au préjudice de la communauté, qui, n'étant plus gouvernée par des supérieurs astreints à la résidence, vit décroitre son importance et diminuer ses revenus. En 1648, la vie régulière fut reprise dans le couvent et y demeura maintenue. On en a la preuve dans les faits qui se sont passés en 1718. A cette époque, Paul François de Challand ne put être nommé prévôt de Saint-Gilles par le pape Clément XI qu'à la condition de faire profession de la vie régulière sous la règle de Saint-Augustin.

Il grande campanile è contemporaneo alla vicina cascina fortificata delle Murasse, risalendo al 1512, caratterizzato da puro stile gotico flamboyant, secondo B. Orlandoni. Questa torre campanaria, posta ad oriente, mostra l’incisione Karolus de Challant hujus praepositurae comendatarius fabricam hanc suam poenitus a fundamentis erexit anno domini millesimo quingentesimo XII, in ricordo della costruzione voluta da Carlo di Challant nel 1512. Carlo, il cugino di Giorgio, costruttore del maniero di Issogne, fu Prevosto di Sant’Orso in Aosta e Protonotario Apostolico, morendo a 35 anni e lasciando incompiuto il proprio grandioso progetto di rifacimento della Collegiata. Nel XVII secolo venne costruita l’ala occidentale, che, secondo il Bonin, (…) a un aspect plus réconfortant et porte l’empreinte moderne. Nel secolo XVIII, Paolo Francesco di Challant sovrintese ad altri lavori, che finirono per nascondere due torri minori, tra cui il campaniletto romanico dell’XI secolo, una torre quadrata in pietra, con angoli a conci regolari e quattro finestre monofore. Questo piccolo campanile fu parzialmente sacrificato in favore del rifacimento del sepolcro del grande Ibleto. Proprio questa silente cappella sepolcrale, che bene si confà all’ultimo riposo di un uomo così grande e capace, mostra una bella finestra trifora in pietra, perla dell’architettura gotica valdostana, che da sola vanta una nutrita ed ammirata bibliografia. Il Settecento costituì un periodo di grave crisi per Saint Gilles di Verrès, anche se Nicolas Amédée Bens (1721-1793) vi fece costruire la moderna chiesa, tra il 1776 ed il 1797, con il patrocinio del conte Francesco Ottavio di Challant. Venne consacrata dal vescovo eporediese Pochettino e dal vescovo di Aosta, Monsignor De Sales, il 9 novembre del 1777. Ospita anche la tomba del servo di Dio Jean-Gilles Laurent, nativo di Montjovet, morto nel 1940 e beatificato nel 1967. Nella notte del 25 maggio 1800 vi risiedette Napoleone Bonaparte, che nel 1802 volle porre termine alla millenaria storia dell’abbazia. La comunità monastica vi rientrò nel 1816, al termine delle dilanianti guerre napoleoniche, senza tuttavia riprendersi, al punto che nel 1911 il pontefice Pio X dovette integrare la comunità di Saint Gilles ai canonici lateranensi di Challand-Saint-Victor e di Fénis.

La Collegiata disponeva anche di un ospizio o ospedale, sin dalla sua infeudazione ad opera del Prevosto, in data primo settembre 1335. Venne citato ancora nel 1380 e nel 1440, ma nel 1570 risultava ormai scomparso. Oggi, la parrocchia di Verrès risiede nell’edificio di Saint Gilles, gestita da don Carlo Caputi e dal parroco, don Giuseppe Ganassin, priore dei Canonici Regolari Lateranensi. A Verrès operano anche le suore di San Giuseppe.

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Le Murasse 

Si tratta di una cascina fortificata, costruita nel 1512 dal prevosto Carlo di Challant per meglio servire il comprensorio sacro di Saint Gilles. Secondo monsignor Edoardo Brunod, tuttavia, l’area in cui essa venne edificata apparteneva alla Prevostura sin dal 3 maggio del 1171, quando Oddone e Bosone la ritornarono al Prevosto di Saint Gilles. La struttura si presenta come una bassa fortezza caratterizzata da merli a coda di rondine, con un corpo principale a volta ribassata, originariamente adibito a scuderia, nonché una piccola torre che ospitava una colombaia simile alla paritetica struttura del maniero di Issogne. La torretta ospita ancora l’incisione decorata dallo stemma degli Challant e dal bastone di Priore, Karolus. De. Challant. August(ens)em. Pre(positus). Ac. S. Egidii. Petri. Et. Ursi. Co(mmendatarius). triu(m). me(n)siu(m). spacio. fabrica(m). ha(n)c. sua. impe(n)sa. Fu(ndatam). Erexit. A(nno). M.D.XII. Si tratta, in sintesi, dell’orgogliosa rivendicazione di un uomo che, in tre mesi ed a proprie spese!, riuscì ad edificare questa bella struttura protetta ed accogliente. Oggi questa antica cascina fortificata si trova a poca distanza dal casello dell’autostrada A5, in prossimità dell’ampia rotonda che unisce la statale 26 all’ingresso della suddetta autostrada, in vista della Collegiata e ad ovest del corpo principale della cittadina. Restaurata nel 1997, la cascina fortificata delle Murasse è la sede della Comunità Montana Evançon, nonché della Biblioteca comunale di Verrès, offrendo ai due Enti una sede invidiabile e magnifica. 

Esisteva anche una seconda cascina cinquecentesca di proprietà comitale, la cosiddetta Grangia Nuova, in direzione Arnad. 

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Le cappelle 

A Rovarey esiste la bella cappella di San Grato, di cui parla monsignor Brunod. Venne fondata il 28 febbraio del 1677, come testimoniato dal notaio Valaise, e si raggiunge in circa mezzora dal castello, via La Barmaz, su buona mulattiera. Venne parzialmente ricostruita nel 1760 e rinnovata nel 1943 da Pio Rovarey. A Verrès si trova invece la cappella dell’Addolorata, presso l’attuale Comune, in località Martorey (una leggenda vuole che il nome di questa via derivi da un antico tempio di Marte, distrutto per intervento divino su richiesta di San Grato). Venne fondata da tale Martino Freydoz il 28 febbraio del 1678, con atto del notaio Valaise, e ceduta al Comune come sede della Pro Loco il 13 febbraio del 1980 dalla famiglia Ravera. La cappella di San Rocco venne fondata da Domenico Jolie il 29 giugno del 1681, come testimoniato dal notaio Airaz; è tuttora collocata in via Duca d’Aosta, al margine del centro di Verrès, ed è visitabile; un campaniletto si eleva sul lato sinistro anteriore del tetto, mentre all’interno si trova un bell’altare in legno dipinto ed intagliato, sovrastato dalla volta decorata. Vi si nota un dipinto su tela raffigurante la Madonna, con San Grato, San Rocco, Sant’Egidio e probabilmente San Sebastiano; il dipinto è sostenuto ai lati da due belle colonnine tortili, e risale al XVIII secolo.

 

 

 

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